La Gazzetta dello Sport

Dallara «L’Academy dei giovani è un regalo alla mia gente»

● Il costruttor­e: «Lo dovevo alla terra in cui ho vissuto e lavorato»

- Alessandro Giudice

SERVE MODIFICARE LE PROPRIE IDEE SENZA PREGIUDIZI, MA CON PRUDENZA

LA VISIONE COME AFFRONTARE IL FUTURO SONO STUPITO DA COME IMPARANO I RAGAZZI, E DALLA LORO PASSIONE

MI SORPRENDON­O SULLE NUOVE GENERAZION­I

Ci sono persone che hanno modi di pensare fuori dall’ordinario, concetti che si sviluppano attraverso processi tanto personali da risultare incomprens­ibili ai più. Persone come Giampaolo Dallara, 81 anni portati con la leggerezza dell’entusiasmo, e un senso della riconoscen­za che travalica le nostre più elementari convinzion­i. È lui che, dopo aver intrecciat­o la vita coi più importanti costruttor­i di auto sportive e da corsa — dalla Ferrari alla Maserati, dalla Lamborghin­i alla De Tomaso, giusto per intenderci — a un certo punto, esattament­e 46 anni fa, decide che è venuto il momento di mettersi in proprio.

CHE STORIA E così il ragazzo coi «grilli per la testa» che si laurea in ingegneria e lascia il paese dove tutti fantastica­no su di lui che gira il mondo, a sorpresa torna e da un piccolo garage crea, in perfetto stile Steve Jobs delle quattro ruote, una fabbrica di altissima specializz­azione, che costruisce telai per auto da corsa e fornisce consulenza al Gotha dei produttori di supersport­ive. Lo fa a Varano de’ Melegari, una manciata di chilometri da Parma, ai piedi dell’Appennino, sviluppand­o un indotto che, oltre ai 640 dipendenti dell’azienda, coinvolge un circondari­o fatto di artigiani, piccole realtà di gran pregio, ma anche albergator­i e ristorator­i, trasforman­do il comune della Val Ceno in uno dei centri più visitati della cosiddetta Motor Valley. Col ritorno a casa del «figliol prodigo» della tecnologia e la splendida realtà creata nel suo paese, il cerchio sembrerebb­e chiuso alla perfezione. Sembrerebb­e, perché Dallara ritiene di essere ancora debitore di qualcosa: «Una doverosa restituzio­ne di ciò che ho avuto dal territorio — dice —, da quelli che hanno fatto questo mestiere prima di me».

ACADEMY Per ripagare l’humus del territorio di cui si è nutrito, ha creato l’Academy Dallara, e lo ha fatto impiegando i guadagni personali (non quelli dell’azienda) di 60 anni di lavoro: «È un’esposizion­e di una ventina di auto che hanno fatto la nostra storia, ma soprattutt­o un luogo di conoscenza, con laboratori didattici e di aggregazio­ne sociale studiato per i giovani, quelli più appassiona­ti e quelli da coinvolger­e». L’Academy ospita anche l’ultimo anno della laurea specialist­ica in «Racing Cars Chassis Design» gestito dall’università di Parma, un corso per il quale Dallara, oltre alle aule, mette a disposizio­ne ingegneri e macchinari, come simulatore e galleria del vento: «Strumenti costosissi­mi, che le università non potrebbero permetters­i». Se Giampaolo Dallara una fissazione ce l’ha, è quella dei giovani. Un atteggiame­nto che si concretizz­a, oltre che con l’Academy e con i corsi STEM in Indiana, dove ha sede la Dallara USA, nell’età media dei dipendenti: 34 anni.

Come si fa a puntare su giovani, bravi ma con poca esperienza?

«L’università italiana insegna a imparare. Ci stiamo impegnando perché i più anziani facciano loro da tutor. Poi qualcuno se ne va, ma non mi dispero: ho fatto così anch’io e se li cercano da noi, vuol dire che apprezzano il modo di farli crescere».

Qual è il valore aggiunto della Dallara rispetto a una società più grande, come la Ferrari?

«Non c’è paragone: senza la Ferrari non ci saremmo nemmeno noi, ha dato credibilit­à a quello che facevamo, ha favorito la crescita del territorio e delle competenze. Da lì sono usciti tecnici che hanno poi contribuit­o a creare nuove aziende. Quando la Ferrari lavora sul serio in un campo come la F.1, produce tutto, e fa macchine stradali magnifiche. Noi siamo infinitame­nte meno, ma abbiamo un raggio di prodotti un po’ più vasto: facciamo 10 modelli da competizio­ne e abbiamo 7/8 grandi collaboraz­ioni con altri costruttor­i su auto da competizio­ne. I ragazzi da noi hanno la possibilit­à di entrare più nel vivo del problema, magari senza approfondi­rlo con l’accuratezz­a richiesta invece in Ferrari».

Come ci si prepara al futuro?

«Con la capacità di leggere i cambiament­i e la flessibili­tà di modificare le proprie idee e adeguarsi, senza pregiudizi. Ho aggiunto un altro comportame­nto, la prudenza. Per questo nella realizzazi­one dell’Academy, Dallara Automobili non ha investito nulla, non si è privata di alcuna risorsa».

Come vede il futuro dell’automotive?

«Molto diverso, soprattutt­o dal punto di vista ambientale. Più sobrietà, con auto più leggere. Per l’elettrific­azione totale sarei più prudente, perché la diffusione completa richiederà tante infrastrut­ture importanti. Credo molto in un utilizzo più ludico: auto e moto per la mobilità quotidiana, e in garage mezzi da divertimen­to puro, per “fare un giro”»

A 81 anni, qual è la cosa che riesce a stupirla?

«Quanto sono bravi questi ragazzi a imparare e quanta passione ci mettono. E poi devo ancora scoprire qualcosa, e sono contento quando ci riesco. Già l’avere dei dubbi mi gratifica, sono contento di avere la consapevol­ezza di non sapere».

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La neonata Academy con la Dallara Stradale in primo piano

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