La Gazzetta dello Sport

«Troppa noia in gara Serve la mia musica»

●Lo slovacco, iridato dal 2015, si nasconde: «Dove volete che vada...Vincerà Valverde»

- Claudio Ghisalbert­i INVIATO A NIEDERDORF

È

un dono del dio del ciclismo, una stella caduta dal cielo per illuminare il piccolo mondo delle corse. Peter Sagan è l’astro venuto da un posto sconosciut­o per questo ambiente, Zilina in Slovacchia. E’ la cometa che appare il 26 gennaio 2010 quando, per farsi il regalo del 20° compleanno, andò in fuga — da debuttante — con Lance Armstrong e Oscar Pereiro. Da quel giorno la gente ha cominciato ad amarlo per il modo spettacola­re di essere corridore, grande nelle poche sconfitte e nelle tante vittorie. Ma c’è dell’altro. E’ l’unico che indica la via, crea tendenza, fa moda. Trionfi e marketing, tanta semplicità. Forse Peter Sagan è il più amato anche perché mai si nega a un autografo o a una foto. Sono 109 i suoi successi, compresi gli ultimi 3 Mondiali. Tripletta come Binda, Van Steenberge­n, Merckx e Freire, però nessuno di loro ci è riuscito consecutiv­amente. Domani Sagan mette in gioco la sua maglia iridata. E riprenders­ela, scalando l’Inferno per lui che pesa quasi ottanta chili, sarà un’impresa ai confini del possibile. «Ma dove volete che vada?», attacca lui con aria sorniona. «Non ho nessuna possibilit­à di vincere. Troppo duro per me, non ho speranze. Chi vive sperando...». Poi una pausa e un sorriso: «Dicevo la stessa cosa prima di Richmond (nel 2015, primo Mondiale, ndr)».

Sagan, un favorito?

«Valverde l’ho visto alla Vuelta, va forte. Se vincerà il Mondiale, sarebbe il momento perfetto per ritirarsi. Se non lo vincerà, potrà continuare. È un grande campione, però non lo considero un rivale. Anzi, mi piacerebbe se uno come lui mi battesse. Sì, perché è forte».

A proposito di Vuelta, ci si attendeva il suo ritiro in vista di questa sfida. Invece è arrivato fino a Madrid. Come mai?

«Penso sia stata la scelta migliore. Poi cosa facevo a Montecarlo da solo? Niente».

Montecarlo è il posto ideale per vivere?

«Il posto ideale è legato allo stato d’animo, alla vita privata. Da ragazzo facevo le vacanze in una baita. Era per sei, ci stavamo in dodici ed ero felice. Da corridore, alla Tinkoff, mi portavano il mio materasso in ogni stanza di hotel. Ma ho vinto anche quando ne ho trovato uno vecchio con una molla che mi bucava la schiena».

Sagan fa tendenza. Mangia caramelle gommose dopo il traguardo e metà gruppo la copia.

«Questo è il ciclismo. Tanti, quasi tutti, copiano senza sapere cosa fanno. Prendete i rulli nel dopocorsa. Che senso ha farli per chi arriva a mezz’ora? Prima o poi mi metto a fare una verticale, poi vediamo chi è capace di copiarmi. Il ciclismo è il mio lavoro, il mio gioco e il mio hobby. Ma c’è troppa ignoranza».

Il ciclismo ha bisogno di allegria e novità.

«Sicuro, faccio quello che posso. Prima del via al bus della squadra mettiamo la musica. Le casse le ho comprate io. La gente mentre ci aspetta balla, cosa farebbe lì senza musica? Tutti a braccia conserte aspettando cosa? Che tristezza».

Per questo impenna in salita?

«La gente me lo chiede, io la accontento. E’ un mio regalo».

E’ vero che il ciclismo in tv l’annoia?

«Tanto. Accendi a 100 km dal traguardo o a 20, la scena è sempre uguale. Però sono trascorse due ore. Cosa stai a fare davanti alla tele se non succede niente? Se accendi la tv a 100 km, ti addormenti. Per me, da spettatore, il ciclismo è uno sport noioso. Guardo solo gli ultimi 5 km».

Ha rinnovato con la Bora fino al 2021. E la sua squadra giovanile?

«Nella PS Academy ci sono quasi 90 ragazzi dai 6 ai 23 anni. La sostengono, solo per passione, la famiglia Cremonese con Sportful e Robert Spinazzè. Più la Specialize­d. Ci sono anche le gare del “Sagan kid’s Tour”, una decina di eventi a cui partecipan­o tra 800 e 1000 bambini». Preparatev­i: Peter per domani ha una clamorosa sorpresa.

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