Valverde leggenda L’inferno è d’oro Moscon gigante: 5°
● A 38 anni, dopo 6 podi, lo spagnolo batte Bardet e Woods, e conquista il titolo che gli mancava
Quel Mondiale canadese del 2003, ad Hamilton, lo vinse Igor Astarloa. Nei primi dieci finirono anche Van Petegem, Bettini, Boogerd, Hamburger, Barry, Paolini, Freire, Tombak: nessuno di questi corre più. Ma ne abbiamo ‘saltato’ volutamente uno: l’argento di quel 12 ottobre. Alejandro Valverde. Lui è ancora in sella, oh sì: e a distanza di quasi 15 anni il Mondiale se l’è finalmente preso. Ha urlato al cielo, ha pianto, ha sorriso. Mai, per le precedenti 121 vittorie di una carriera già favolosa, lo spagnolo era sembrato l’uomo più felice del pianeta. Ieri sì, da iridato più anziano di sempre (38 anni e 5 mesi) dopo Zoetemelk 1985 e dopo avere sfatato un sortilegio: 6 Mondiali tra i primi tre – 2 argenti, 4 bronzi -, senza mai vincere. Il settimo podio è stato il capolavoro. Nell’ultima domenica di settembre, a Innsbruck, su uno dei circuiti più duri di sempre. Si diceva che potesse vincere solo un grande campione: non c’è dubbio che Alejandro lo sia.
CORO Alberto Contador, il motociclista Marc Marquez, il cestista Pau Gasol. Giganti dello sport spagnolo e non solo. Il coro via social è unanime: «Nessuno se lo meritava più di lui». E quasi tutti i colleghi di Alejandro la pensano allo stesso modo. In questo, Valverde non è troppo diverso da Peter Sagan, che ieri ha abdicato dopo 3 titoli consecutivi e lo ha premiato sul podio in uno straordinario passaggio di consegne: nessuno lo discute. Nel suo caso, non si può dimenticare lo stop di due anni per il coinvolgimento nell’inchiesta antidoping Operacion Puerto. Ma Valverde ha messo d’accordo tutti tornando a correre nel 2012 e vincendo come e più di prima (62 dei 122 successi sono arrivati dal 2012). Senza dimenticare la caduta nella tappa iniziale del Tour 2017 che ne aveva messo a rischio il proseguimento della carriera: Don Alejandro sarebbe un interprete perfetto per un remake al cinema di Highlander, l’ultimo immortale.
GIORNATA Il Mondiale più duro da Sallanches 1980 (senza dimenticare Duitama 1995) era partito in un clima sereno da Kufstein, prima di aggredire il circuito con la salita di Igls (7,9 al 5,7%, sette volte). La prima fuga, a 11, spicca per… l’altezza media dei protagonisti: Conor Dunne arriva addirittura a 2.04. Ma non inciderà sul risultato, mentre via via la gara diventa a eliminazione. Barguil cade e si arrende, poi alza bandiera bianca anche Peter Sagan: a oltre 90 chilometri dalla fine, troppo presto. L’Italia di Cassani spera in Nibali e Moscon, intanto si fa vedere con Brambilla, Cataldo, Caruso, De Marchi mettendo in fila il gruppo. Nell’ultimo giro, però, una accelerazione di Kruijswijk fa male allo Squalo, che alza bandiera bianca a 23 km dall’arrivo, mentre davanti il danese Valgren tenta l’azione solitaria e Moscon cerca di buttarsi in una sortita che possa decidere la gara prima del terribile Muro finale, 2,8 km con pendenze al 28%. Gianni, a 24 anni, è un leone e riesce a restare davanti nel momento decisivo con Valverde, Bardet e Woods. Peccato che nel tratto più duro debba cedere, mentre da dietro uno straordinario Dumoulin risale e lo sorpassa. Il trentino, che sarà quinto, non ha più le gambe in discesa per aggrapparsi al ‘treno’ olandese: la volata per l’oro se la giocano così in quattro, ma non ci sono dubbi sul successo di Valverde, già re di 5 Freccia Vallone, 4 Liegi e una Vuelta, senza dimenticare i podi a Giro e Tour. L’apoteosi è iberica e la sigillano le parole di Felipe VI: «Ora, giorno dopo giorno, con la maglia iridata sulle spalle, potrai goderti la ricompensa di essere sempre tra i migliori, in tutte le gare. E’ la conferma che sei un grande corridore. Evviva Alejandro Valverde». Era il Re di Spagna. Si stava rivolgendo al re del Mondo.
LA CHIAVE
Lo premia Sagan, i complimenti del Re Il Muro al 28% fa la selezione decisiva Dumoulin è quarto, Nibali cede a - 23 km