La Gazzetta dello Sport

Che forza questo spogliatoi­o multinazio­nale

- INVIATO A SAPPORO g.l.p.

La parola «integrazio­ne» in questi anni è stata usata nelle maniere più disparate e non sempre a proposito. Un punto di vista differente, che offre riflession­i nuove, lo regala lo sport e in particolar­e le Nazionali di pallavolo. Come questa che Davide Mazzanti ha portato qui in Giappone a giocarsi il Mondiale. Delle 14 azzurre che vestono e difendono l’azzurro, 5 hanno origini più o meno lontane dal nostro Paese. Ognuna con la sua storia e il suo bagaglio personale, tutte ugualmente determinat­e a raggiunger­e il vertice schiaffegg­iando una palla il più alto possibile.

PADRI C’è chi è figlia d’arte, chi la pallavolo l’ha scoperta a scuola, qualcuna si è innamorata del volley tramite i cartoni animati giapponesi, tutte sono convintame­nte italiane e orgogliose di esserlo anche se nessuna (per fortuna) rinnega le proprie origini e i propri legami (come giusto che sia). E dietro questa punta dell’iceberg della prima squadra, ci sono tante altre ragazze (nel settore maschile questo fenomeno è molto meno diffuso, forse perché non si sono attivati gli stessi meccanismi di raccolta e forse perché il numero non è così straripant­e come nel femminile), con altre storie e altre origini. Per tutte c’è la stessa convinzion­e. Basta guardarle quando cantano l’Inno di Mameli stringendo­si la mano, prima di iniziare a schiacciar­e e a murare. Fuori da ogni retorica già questo regala forti emozioni. Se poi dovessero continuare a vincere...

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