La Gazzetta dello Sport

Omaggio azzurro alle vittime del ponte «Impression­ante visto da qui sotto»

●●ruppo unito, grandi silenzi, tanta commozione La Nazionale abbraccia chi ha perso i propri cari Mancini: «Spero di dare un po’ di gioia ai genovesi»

- Filippo Grimaldi

C’è un pudore sconosciut­o negli sguardi di Roberto Mancini e dei suoi ragazzi, quando a metà del pomeriggio giungono in via Trenta Giugno 1960, una striscia d’asfalto che lambisce il corso del Polcevera, divenuta oggi luogo amaro e desolato, per rendere omaggio alle 43 vittime del ponte Morandi. In quest’atmosfera irreale, dove il silenzio opprimente è rotto solo dal rumore ritmato del martello demolitore nel greto del Polcevera sui gigantesch­i detriti del ponte. Sono scesi dal pullman che li ha prelevati una manciata di minuti prima all’aeroporto: appena il tempo di passare davanti al sacrario laico che la gente ha creato sul ponte di via Renata Bianchi.

SILENZIO Quel che resta del Morandi ora se ne sta lassù, con quella sua drammatica voragine al centro e i monconi rimasti in piedi che appaiono come due giganti di cartapesta, immobili eppure inquieti, simbolo drammatico di morte e distruzion­e, oltre che di una città spezzata in due da cinquantas­ette giorni. Laggiù, al lavoro, ci sono solo i vigili del fuoco e gli operai con le ruspe, di fronte a loro una parte della soletta del ponte conficcata in verticale nel terreno, che con gesti ripetuti all’infinito viene spezzata, caricata sui camion, numerata con la vernice rossa e portata in un capannone a disposizio­ne della magistratu­ra. La Nazionale ha voluto così: il tempo di vedere passare per un attimo sullo sfondo del Polcevera l’aereo bianco che ha portato gli azzurri da Firenze e a Genova, laggiù dove si apre nel mare, e qualche minuto dopo erano già qui.

DOLORE Piccoli piccoli, con il loro dolore dentro al cuore, due genovesi adottivi come Perin e Caprari in testa al gruppo, e la corona di fiori sistemata da Bonucci e Chiellini con il nastro per «Genova nel cuore», mentre di lì a poco il presidente della Regione Liguria, Giovanni Toti, avrebbe consegnato con le altre autorità cittadine la maglietta simbolo della tragedia del ponte Morandi al Mancio, con il disegno di un ponte spezzato e un grande cuore rosso al centro. Alle 17.13, quando è il momento del raccoglime­nto, pure il martello si ferma.

DESTINO Provano a spiegare a Roberto ed agli altri azzurri, compreso il genoano Criscito che su quel ponte moribondo era passato quel maledetto giorno in auto con la famiglia pochi minuti prima della tragedia, cos’è successo e cosa accadrà adesso. Ma le parole servono a poco, oggi questo è un luogo che incute quasi timore, in uno stato di abbandono forzato, con le fabbriche abbandonat­e e le case di via Porro sullo sfondo, nel cuore della zona rossa, che sembrano appoggiate ai piloni del ponte, abbandonat­e in fretta e furia, con i panni stesi alle finestre da quasi due mesi e le persiane alzate.

Ma che vita è questa? «Una cosa impression­ante — ha la forza di dire con un filo di voce il c.t. —. Voi potete immaginare cosa voglia dire per me essere qui, che in questa città ho vissuto quindici ani della mia vita e sono legatissim­a ad essa. E poi, su quel ponte ero passato tante volte anch’io. Dalle immagini televisive si capiva cos’era successo, ma visto dal vivo, qui sotto, è terribile». Non c’è una spiegazion­e, non esiste una logica per comprender­e o capire questa strage, ed è probabilme­nte questa la ragione per cui un senso di fastidio diffuso porta gli azzurri a stare tutti uniti, compatti, perché l’unione mai come stavolta dà forza. Chi conosce bene Roberto e qui lo ha visto crescere quando era un ragazzo, può comprender­e quanto sia sincero il suo dolore e quanto sia grande la sua voglia di fare qualcosa di concreto per quella che è a tutti gli effetti la sua città.«Speriamo con questa partita di poter portare un po’ di gioia ai genovesi», il suo messaggio, la sua speranza.

E qualcosa gli azzurri hanno già fatto ieri sera, quando nel primo assaggio del Ferraris lo stesso Mancini ha incontrato in forma privata una decina di orfani delle vittime del ponte Morandi, ai quali la Federcalci­o ha deciso di assegnare una borsa di studio triennale. «Un’esperienza che ricorderò a lungo — ha commentato al termine dell’incontro il c.t. azzurro —. Alcuni di questi ragazzi avevano perso entrambi i genitori nel crollo del ponte, e per me è stato difficile anche riuscire soltanto a guardarli negli occhi. Ma li ho visti sorridere, e probabilme­nte siamo riusciti a regalare loro cinque minuti di felicità. Ho notato come ci guardavano, e a tutti loro abbiamo regalato le nostre maglie con i loro nomi».

DESIDERIO Sotto questo cielo dove un sole estivo non riesce a scaldare, vorrebbero solo normalità, e invece la strada sarà ancora lunga, anche se il grande cuore degli azzurri aiuterà a non perdere la speranza. Un segnale di vicinanza, concreto e forte, quella dell’Italia e della Figc, apprezzato anche a livello delle istituzion­i. Lo stesso presidente della Regione, che oggi sarà a Roma per perorare la causa della città, ha spiegato come «sia stata molto importante questa visita dell’Italia per tenere accesi i riflettori su Genova, insieme alla decisione di giocare questa amichevole proprio qui. Tutto il mondo dello sport ci aveva già dimostrato

solidariet­à, e penso alle iniziative della pallanuoto, alle maglie portate in campo dalle squadre alla seconda giornata di Serie A, o alla Ferrari che aveva deciso di cambiare la livrea delle sue monoposto (il 26 agosto scorso a Spa, nel GP del Belgio, n.d.r.) proprio per ricordare il crollo del ponte Morandi». Stasera la partita si fermerà per trenta secondi al minuto 43 del primo tempo: come il numero dei morti di questa tragedia.

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