La Gazzetta dello Sport

Campione, non leader

● Però Hamilton difende Seb: «Stop attacchi, umano sbagliare»

- Andrea Cremonesi

Se persino il tuo «killer» (sportivo) si sente in dovere di venirti in soccorso, allora la situazione è seria. Da domenica, cioè da quando a Suzuka ha compiuto l’ennesimo errore di precipitaz­ione mostrandos­i poco sereno, Sebastian Vettel è sotto attacco e così Lewis Hamilton, che alla crisi del ferrarista ha dato un contributo fondamenta­le grazie a un mese super (quattro vittorie in altrettant­e corse), ha deciso di lanciare attraverso il proprio profilo Instagram un appello alla moderazion­e. «Bisogna mostrare maggior rispetto per Sebastian. Non potete immaginare quanto sia difficile fare quello che facciamo ai nostri livelli. Siamo umani e per questo a volte commettiam­o errori, tuttavia quello che conta è come li affrontiam­o, come li superiamo». Ed è proprio questo il punto: la scomparsa di Sergio Marchionne ha avuto un effetto devastante sulla Ferrari e il tedesco avrebbe dovuto spendere il prestigio che gli deriva dalla conquista di 4 titoli iridati per aiutare il team a stare unito, e invece pure lui, che già aveva colleziona­to errori in Austria e Francia, si è fatto travolgere dalla situazione. Domenica nel dopo corsa, a chi gli attribuiva un ruolo di leader, diceva di non sentirsi tale ma solo un membro del team. Ed è proprio questa la differenza sostanzial­e con l’amico e connaziona­le Michael Schumacher.

DIFESA Nel 1996, al suo primo anno a Maranello, Schumi visse

SEB, CHE ERRORI COSÌ È IL PRIMO AVVERSARIO DI SE STESSO

FLAVIO BRIATORE

EX TEAM PRINCIPAL RENAULT una estate di ritiri alle prese con una vettura estremamen­te fragile, anche se veloce. Ebbene, quando ormai la posizione di Jean Todt appariva compromess­a, Michael, si era ai test di Monza, intervenne con decisione: ««Se volete distrugger­e la Ferrari, cacciate Jean Todt». Vettel a cui difetta carisma non ha speso parole così dure per cercare di tenere unito un team che vede due partiti contrappos­ti: quello che fa capo a Maurizio Arrivabene, stanco di dover difendere scelte che non condivide sino in fondo; e quello di Mattia Binotto, che di fronte all’affondo del team principal ha visto messo in discussion­e un progetto di vettura comunque valido. «Non sono il leader del team - ha messo le mani avanti Vettel - ma un suo esponente». Anche se poi si è sforzato di sostenere che il clima all’interno è positivo e che il team è e resta forte. Così come una macchina che gli ha comunque consentito di rimontare dopo il testa coda.

ACCUSA A puntare il dito contro il tedesco è intervenut­o pure Flavio Briatore nel botta e risposta organizzat­o da Nico Rosberg che si diverte su internet a intervista­re i protagonis­ti (o ex) in «Beyond the Victory» il suo programma in podcast sul web. «Vettel è stato il primo nemico di se stesso. Bisognereb­be spiegargli che la gara è su 53 giri, non uno. Il suo incidente di Monza non ha avuto davvero molto senso. Sai di avere la macchina migliore, freni e stai dietro. Finito. Hai altri 50 giri per recuperare se invece finisci fuori, ne hai zero per farlo! Se vuoi conquistar­e dei campionati, puntare solo a vincere le gare non funziona, bisogna anche accontenta­rsi di secondi e terzi posti .... ». Ma Briatore nel colloquio con il campione del mondo 2016 ha pure puntato il dito contro la Ferrari: «Nelle ultime 3-4 gare anche il team ha compiuto errori di strategia che è difficile da comprender­e, ci sono campionati che vinci, gestendoli. A un certo punto Hamilton si è dimostrato più veloce, in un campionato succede. Ma se cerchi sempre lo scontro diretto contro uno come Lewis, alla fine esci sconfitto. È qualcosa che ho già vissuto in passato con Alonso. Quando lotti per il campionato, vivi un livello di stress incredibil­e, la ricetta è riuscire a domarlo».

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Il contatto tra Vettel e Verstappen durante il GP del Giappone: il tedesco, in testa coda, è ripartito 19o
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