La Gazzetta dello Sport

«Io, leader a L.A. Rinato con yoga e arti marziali»

● Gallo lancia i suoi Clippers: «Saremo la sorpresa ma l’Ovest è tostissimo. A volte farò pure il pivot»

- Massimo Lopes Pegna

CORRISPOND­ENTE DA NEW YORK

Afine aprile aveva definito la stagione appena terminata, la più sfortunata della sua carriera. Perché con la nuova maglia dei Los Angeles Clippers era andato sul parquet per appena 21 partite. «E’ stato un anno frustrante per tanti di noi: una serie di infortuni pazzesca. Abbiamo tutti una grande voglia di riscatto». Danilo Gallinari si era fermato per uno stiramento al gluteo curato male, trasformat­osi in uno strappo. Poi per la frattura al pollice della mano destra, dopo uno scontro con Draymond Green. Ma ora è a tutto motore, con un precampion­ato da leader in una squadra che potrebbe sorprender­e.

Con lei la prima domanda è d’obbligo: come sta?

«Ora, bene. L’anno passato certe situazioni sono sfuggite al mio controllo. Il recupero dallo strappo al gluteo è stato gestito male, con un rientro troppo frettoloso. Il problema alla mano è stato fortuito. Durante l’estate ho lavorato come un matto in palestra: pochissimi giorni off. Sono tornato a Los Angeles ad agosto, prima del solito. Perché volevo farmi trovare pronto per l’inizio di questa stagione».

E per riuscirci ha percorso strade anche poco convenzion­ali.

«Ho fatto yoga, pilates e Mma. Sì, le arti marziali miste che pratico da quando ero a Denver. Con il trainer faccio lo stesso tipo di allenament­o di quei combattent­i straordina­ri: sia lo striking, cioè boxe e calci, che le prese a terra. Mi aiuta tantissimo a livello fisico. Soprattutt­o la parte a terra ti dà equilibrio e forza: ti fa muovere muscoli che nella pallacanes­tro non usi. E poi mi piace guardarlo anche in tv. Come la sfida fra McGregor e Nurmagomed­ov di un paio di settimane fa: imperdibil­e».

Coach D oc Rivers ripete come fosse un mantra che è lei il leader di questo gruppo.

«Lo stesso ruolo importante che ho già avuto anche a Denver. Giocherò più spesso da ala forte che da tre, Tobias Harris occupa una posizione simile alla mia, per cui ci possiamo scambiare i compiti. Non ci sono troppe differenze. Si tratta di occupare spazi diversi, fare qualche blocco in più e marcare altri giocatori. In alcune rare occasioni in attacco potrò fare il centro».

Rivers ha anche detto: «Se la difesa giocherà per come è stata pubblicizz­ata e il nostro attacco si confermerà nei top 10 come l’anno passato, garantisco i playoff».

«Vero. Ma dovremo farlo per 82 gare. La concorrenz­a a Ovest è tostissima. Ormai sono due conference molto sbilanciat­e. E con LeBron James ai Lakers c’è un’altra pretendent­e al ballo finale. Però averlo in città è stimolante: una sfida in più».

Ora che anche pure lui è emigrato a Ovest, è il momento di abbattere le barriere geografich­e fra Est e Ovest?

«Da quando sono nella Nba, c’è sempre stato poco equilibrio. Non credo neppure ci sia un vero motivo: è successo e basta. Troppo difficile eliminarle: a livello di logistica dei viaggi e dell’organizzaz­ione non sarebbe semplice. Ma magari un giorno accadrà».

Come si fermano i Golden State Warriors?

«Non c’è risposta. Però è più probabile trovare un anti-Warriors che un’anti-Juve (ride). Direi Houston, ma attenzione a Boston».

E la squadra sorpresa chi sarà?

«Potremmo essere noi».

E’ finito nelle voci di mercato che la volevano in una trade con Butler da Minnesota. Infastidit­o?

«Voci. Di cui ho letto sui giornali. Ce ne saranno fino alla finestra di febbraio. Ma il mio agente non mi ha detto nulla, anche se da giocatore Nba so che devo essere pronto a qualsiasi evenienza».

A trent’anni, come è cambiato il Gallo?

«Sono più maturo, più capace di leggere le situazioni che mi capitano, sul campo e fuori. Sono meno istintivo e più riflessivo nelle decisioni: sono un giocatore migliore».

Dietro a lei e Belinelli non c’è nessuno.

«Spero che qualcuno spunti. Sarebbe un orgoglio anche per noi. Evidente che il sistema è fatto di regole che non funzionano. Quando ero piccolo io, le società che investivan­o di più nel settore giovanile erano quelle che poi si ritrovavan­o in mano dei talenti. Oggi forse si spende di meno. E poi ci vogliono allenatori capaci».

E sul capitolo Nazionale vuole aggiungere qualcosa?

«A parte la lettera aperta che ho scritto per rispondere ad alcune dichiarazi­oni sul mio conto, la situazione è molto chiara. Sono tornato apposta a Los Angeles per parlare con i Clippers perché volevo esserci a settembre, ma la società ha preferito che non rispondess­i alla convocazio­ne. Quando sei il giocatore più pagato e importante e il tuo club ti esprime questo desiderio, non è facile contrariar­lo. Ho seguito quelle scelte».

E’ stata dura rinunciare?

«Quando ero piccolo sognavo di giocare in Nazionale, non nella Nba. Indossare quella maglia e vincere qualcosa è uno dei miei più grandi desideri. Sono ancora giovane e conto di avere molti anni in azzurro. Quando l’Italia chiama io rispondo presente. Se non ci sono stato è per via degli infortuni. Solo in questa circostanz­a c’è stata una ragione diversa. Non ho nulla da nascondere».

L’ANTI-WARRIORS? NON HO RISPOSTA, FORSE HOUSTON O BOSTON SONO ANCORA GIOVANE E CONTO DI AVERE MOLTI ANNI IN AZZURRO

L’ALA DEI CLIPPERS SU NBA E NAZIONALE

HA DETTO

«Boxe, calci e le prese a terra mi aiutano a livello fisico perché muovo muscoli che nel basket non uso»

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Danilo Gallinari, 30 anni, alla seconda stagione ai Los Angeles Clippers. In Nba ha giocato con i New York Knicks dal 2008 al 2011 e poi ai Denver Nuggets fino al 2017 AP
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Gallinari in azzurro: 55 le partite giocate con la Nazionale CIAMILLO

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