La Gazzetta dello Sport

DERBY DI SAN SIRO QUESTIONE DI TESTA

- Di ANDREA SCHIANCHI

Il derby si gioca prima con la testa e poi con i piedi. Non lo vince chi inventa il dribbling più sorprenden­te o chi stupisce con il tocco più raffinato, ma chi, per 90 minuti e più, riesce a gestire con saggezza emozioni e tensioni. Spalletti e Gattuso, oltre ai muscoli (forse più dei muscoli), in questi ultimi giorni hanno dovuto allenare i cervelli dei loro giocatori. Nel segreto delle stanze di Appiano Gentile e di Milanello, hanno confessato i loro ragazzi, ci hanno parlato, hanno ascoltato timori, paure e desideri, li hanno spronati o stimolati, se era il caso, e ne hanno spento i bollori (perché troppo anticipati) quando si sono accorti che il surplus di adrenalina avrebbe potuto generare un pericoloso corto circuito. Il mestiere dell’allenatore, oggi più di ieri, è molto simile a quello dello psicoterap­euta che, analizzato il problema del paziente, ha il compito di indicargli la soluzione più rapida e indolore.

A decidere una partita tanto attesa, che sul piano tattico assomiglia a una sfida di scacchi, a volte è un dettaglio, una semplice virgola messa al posto giusto nel momento posto, e il romanzo diventa perfetto. È capitato a Giuseppe Minaudo, non certo un fuoriclass­e, il 6 aprile 1986: un suo gol diede la vittoria all’Inter, e nessuno si sarebbe aspettato che l’uomo del destino potesse essere proprio lui, un onesto mediano e niente di più. Ma l’improbabil­e, nel derby, va messo in preventivo. Vent’anni dopo Minaudo, il 14 aprile 2006, toccò a Kakhaber Kaladze, che del Milan stellare di Ancelotti era soltanto un satellite, indirizzar­e la mega-sfida. Dettagli, appunto. Virgole sistemate in modo che tutta la frase fili via liscia e comprensib­ile. Spalletti parte in vantaggio, lo dice la classifica e pure la qualità della rosa. Ma non sempre i favoriti della vigilia, alla fine, riescono a festeggiar­e. Per questa ragione l’allenatore nerazzurro ha lavorato ancora più duramente sull’aspetto mentale: una vera e propria terapia di gruppo. Difesa solida, centrocamp­o che protegge e riparte con improvvise accelerazi­oni: è la soluzione che il tecnico ha studiato per sorprender­e il rivale rossonero. E poi, sempre in questi ultimi giorni di preparazio­ne, c’è da immaginare che i colloqui con Icardi si siano infittiti: il centravant­i è non solo il capitano della squadra, ma il simbolo. Ne incarna pregi e difetti. Se la testa dell’argentino sarà dentro la partita, allora l’Inter avrà una soluzione in più per andare oltre i propri limiti.

Già, perché per vincere il derby, spesso, bisogna superarsi, dribblare gli ostacoli e resistere alla forza dell’avversario con tenacia e con pazienza. Lo sa bene Gattuso che ha passato una vita a giocarle, queste sfide, e adesso deve fare sedute di training autogeno per gestire lo stress dell’attesa e, nello stesso tempo, essere «sul pezzo» e garantire quella guida di cui i suoi ragazzi hanno bisogno. La tattica non è un problema, i moduli nemmeno. Se Higuain rappresent­a una certezza per l’esperienza, altri milanisti, meno abituati a certi scenari, hanno la necessità di essere «accompagna­ti» sul palcosceni­co. Gattuso era in campo l’11 maggio 2001 quando il Milan guidato da Cesarone Maldini e da Mauro Tassotti rifilò un clamoroso 6-0 all’Inter di Marco Tardelli. Quel Milan, che alla fine del campionato si piazzò dietro i nerazzurri, vinse prima con la testa e poi con le gambe. E, di conseguenz­a, l’Inter perse perché i cervelli dei giocatori non comandavan­o i loro corpi, e non importa che in campo ci fossero Clarence Seedorf, Alvaro Recoba e Bobo Vieri. Il passato, a volte, serve per interpreta­re il presente.

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