GIOCHIAMO CON LORO
Capolavoro mondiale delle azzurre in Giappone. Super Egonu, schiacciata la Cina. In finale c’è la Serbia
OGGI ALLE 12.40 (DIRETTA RAI2) PER IL TITOLO
Sedici anni fa quando l’Italia giocava la sua prima finale Mondiale, Davide Mazzanti era un giovane allenatore addetto a guidare i pullmini che portavano la squadra azzurra fra albergo e palestra durante uno dei ritiri a Senigallia, vicino a casa sua. Oggi — all’ora di pranzo in diretta su Rai2 — sarà lui sulla panchina dell’Italia: a cercare di sbarrare il passo alla Serbia campione d’Europa e vice campione olimpica. «Non sono riuscito a gioire — ha detto il ct di Marotta, ieri tutta la sua cittadina era davanti al maxi schermo nel palasport dove ha iniziato ad allenare —, perché un secondo dopo che è caduta l’ultima palla, ho pensato: devo preparare la partita con la Serbia, devo capire come fermare i suoi attaccanti». Avrà pensato anche a come cercare di aiutare le sue donne azzurre a recuperare tutte le energia possibili per l’ultimo sforzo. Il più duro. Il più difficile, dopo una partita che entrerà nella storia della pallavolo mondiale.
10-15 ANNI E’ probabile che quando, fra una quindicina d’anni, qualcuna di queste donne avrà smesso di giocare ancora si favoleggerà di quel giorno alla Yokohama Arena, quando Paola Egonu, con gli occhi cerchiati di azzurro, mise a terra 45 palloni dopo averne schiacciati una novantina (88). Migliore prestazione della storia dei Mondiali, che consacrano Paola — a soli 19 anni — come una delle più grandi di sempre, per la forza con cui tira la palla, ma anche con la lucida freddezza con cui decide cosa fare. E dietro di lei c’è una squadra che non molla e che si aiuta. Come quando Lucia Bosetti all’inizio del terzo set - sotto 4-1 - ha iniziato a registrare la ricezione, dando certezze e parole in più alle compagne. Come dire «Ci siamo».
GRUPPO O quando Monica De Gennaro si è messa a difendere palloni impossibili: molto più simile a un’Anima giapponese che a un essere umano. Donna volante su ogni palla. O quei muri presi da Chirichella (uno a fine gara decisivo, per il 13-12 del 5°) e Danesi che hanno minato le certezze delle altissime cinesi. O come Sylla, che è stata la spalla ideale (in quanto a schiacciate) di Egonu e che dal-
● Dopo 16 anni di nuovo in finale. Partita epica di 2 ore e 15’: 45 punti della Egonu per il 3-2 sulle olimpioniche. Ritroviamo la bomber Boskovic che ci ha già battuto nelle Final Six
l’inizio del Mondiale le tiene la mano, prima che l’azione ricominci, in un legame che collega tutte le donne azzurre. Quelle che giocano tanto e quelle che le aiutano a prepararsi in allenamento e che magari entrano solo per pochi palloni (come Charlie Cambi o Bea Parrocchiale) o ancora Lia Malinov, che riemerge da una giornata complicata in cui la Cina ha fatto l’impossibile per mettere in crisi il gioco spumeggiante delle azzurre. E’ lucidissimo Mazzanti quando dice: «Il filo che divide la vittoria dalla sconfitta è sottilissimo: siamo qui a goderlo per qualche minuto, ma se avessimo perso?». Si gusta (per poco, la Serbia incalza) l’ondata di affetto che arriva dall’altra parte del mondo: 15 anni fa da tecnico novellino andava a studiare gli allenamenti di Jenny Lang Ping con lo scooter, oggi ha battuto il mostro sacro con una squadra fra le più giovani del Mondiale, smentendo i luoghi comuni sulla gioventù che non accetta responsabilità, che non ha ideali, che non sa soffrire.
SOFFERENZA Quest’Italia ha vinto per i 45 punti di Paola Egonu da Cittadella, ma anche perché ha marchiato sulla pelle le proprie esperienze. Le sconfitte subite. Ognuna con il suo percorso, queste donne orgoglio d’Italia avevano qualcosa da dimostrare e mostrare. Se lo sono tenute dentro un’estate intera (forse più), quando magari le cose non andavano bene e il gruppo faticava. Quando le difficoltà sembravano troppo grandi da gestire e pareva che tutto dovesse implodere. Sono rimaste lì attaccate al loro sogno, più coriacee di una macchia di sugo su una camicia bianca. Indelebili. Incrollabili. Questa grinta si è cementata con l’entusiasmo (tipico della gioventù, ma non solo) con le doti fisiche ricevute dalla natura. Così il Mondiale è diventato un’esaltazione collettiva: 12 partite, 11 vittorie. La sola sconfitta proprio con la Serbia, pochi giorni fa, quando la qualificazione fra le prime 4 era cosa fatta. Nei loro occhi, pochi minuti dopo l’ultima palla c’era euforia, ma anche una luce speciale, che non trovi sempre. Come se fossero in trance: guardavano oltre. Verso quel sogno che non hanno mai esplicitato all’esterno, per una sana dose di scaramanzia, ma che fra loro si sono confessate più volte, durante i mesi del ritiro. «Noi siamo l’Italia» era il motto inventato da Mazzanti per fortificare le convinzioni e l’autostima della squadra, che in questi ultimi due anni non era riuscita ad essere se stessa anche per sfighe assortite (la finta accusa di doping alla Sylla e l’infortunio della Malinov alla vigilia dell’Europeo 2017). E oggi tenta l’assalto alla corazzata serba e alle sue schiacciatrici di punta, Boskovic e Mihailovic (52 punti in due nella prima semifinale con l’Olanda). Per le azzurre una difficoltà in più: oltre l’avversario, smaltire la fatica mentale di questa maratona epica.
GRAZIE In attesa dell’ultimo giro di ruota: dall’Italia arriva un coro di grazie a queste donne per emozioni, grinta, attaccamento ed energia. Ci hanno già insegnato tanto: anche che prima che il colore della pelle, nello sport si deve guardare al colore della maglia. Azzurra. Che Egonu e compagne stringono forte al petto con orgoglio. Aspettando la Serbia: ancora grazie.
UN SECONDO DOPO L’ULTIMA PALLA STAVO GIÀ PENSANDO ALLA SERBIA
IL FILO CHE DIVIDE LA VITTORIA DALLA SCONFITTA È SOTTILISSIMO