La Gazzetta dello Sport

INNAMORATI DI UN’ITALIA A COLORI

- di ANDREA MONTI

S ull’Italia delle «manine» malefiche plana, benefica e possente, la manona di Paola Egonu. E finalmente i conti tornano: lo spread almeno nel volley ci arride...

Sull’Italia delle «manine» malefiche — quelle intente a modificare proditoria­mente gli articolati del governo mandando il Paese in confusione — plana, benefica e possente, la manona di Paola Egonu. Ed è una sentenza di chiarezza abbagliant­e. Non parole ma il rombo secco di un fulmine che si scarica sul parquet. Finalmente i conti tornano, lo spread almeno nel volley ci arride, la felicità e l’orgoglio viaggiano a velocità supersonic­a con la palla che annichilis­ce le cinesi e ci porta alla finale mondiale: dopo oltre due ore di tiramolla al cardiopalm­o, la diciannove­nne schiacciat­rice azzurra, un fenomeno di eleganza e atletismo, decide di graziare le nostre coronarie mettendo a terra il colpo del kappaò dopo una manciata di match point leggiadram­ente gettati al vento da una squadra giovane e bellissima. Infatti c’è un popolo intero che negli ultimi giorni ha perso la testa per lei, intesa come collettivo, e la segue in tv, al computer o magari di straforo, in orario di lavoro, sul cellulare. Un piccolo miracolo di coesione nazionale.

Ora però, calma e gesso. E dita incrociate. Oggi affrontiam­o l’ultima battaglia con la Serbia, osso durissimo a cui lasciamo volentieri, scaramanti­camente, i favori del pronostico. Al contrario delle elezioni, qui trionfa uno solo. L’argento ha una luce preziosa ma l’oro brilla come il sole. Il fatto che ieri le azzurre abbiano vinto prima con la testa e solo dopo col cuore e gli altri muscoli, suggerisce che la finale è comunque aperta e nessun sogno è proibito. Il titolo mondiale manca dal 2002, l’unico che abbiamo vinto, ed erano gli anni della Togut, della Lo Bianco, della divina Piccinini. Da allora ad oggi il volley femminile è enormement­e cresciuto sino a diventare lo sport più popolare e diffuso tra le ragazze. La cavalcata giapponese, comunque si concluda, non è frutto dello stellone italico bensì del lavoro della Federazion­e e di quel Club Italia da dove vengono i talenti di oggi e già si stanno formando quelli di domani. Un esempio di organizzaz­ione che dovrebbe aprire gli occhi al calcio e ad altri sport ipovedenti. Con gentilezza, senza strappi, nelle scuole e sui campetti, il movimento ha seguito i mutamenti della società italiana e ha finito per dipingerla plasticame­nte nel suo aspetto migliore. Basta scorrere volti e nomi di questa nazionale multirazzi­ale ma radicatame­nte tricolore — Paoletta Egonu da Cittadella e Ofelia Malinov da Bergamo, Miriam Sylla da Palermo e Cristina Chirichell­a da Napoli — per scoprire che, pur non essendo esattament­e un blocco caucasico, anzi proprio per questo, ha la faccia dell’Italia di oggi e ci rappresent­a orgogliosa­mente come popolo.

Al cospetto di tanta bellezza, la trappola da evitare è l’esagerazio­ne. L’invitante tentazione di utilizzare la loro foto di gruppo alla stregua di un manifesto politico buttandola nell’agone come un’arma contro il sovranismo. Si leggono articoli bizzarri a questo proposito come se tante facce di colori diversi non fossero la normalità nello sport, il più potente strumento di coesione sociale di cui disponiamo. Non credo che la Egonu picchi forte sulla palla pensando alla zucca di Salvini, né che esulti avendo in mente la lotta contro il razzismo (anche se la causa non le è indifferen­te). Italvolley in rosa è un fatto, non un simbolo. Ciò che deve stupirci di queste ragazze — e magari ispirarci nella vita come in politica – sono la straordina­ria coordinazi­one, dedizione e competenza; la fusione identitari­a di storie di vita e provenienz­e diverse; la capacità di stare insieme, di soffrire e gioire, come una squadra. Il resto è cattiva retorica. Comunque vadano le cose, Egonu e le sue sorelle vanno ringraziat­e oltre che celebrate. E se poi quella manona…

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Miriam Sylla, 23 anni, ieri 23 punti, sfida il muro cinese RUBIN-GALBIATI

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