Marquez livello 7 Vittorie seriali e difesa ragionata
●Dopo un inizio incerto e il caos in Argentina con Vale, Marc è tornato spietato. Prima dell’estate la svolta. Quindi ha resistito alla riscossa Ducati
Il «Marcziano» ferma l’astronave rossa. Faccia da Joker, Settebello in mano: Marquez lo ha calato sul tavolo iridato già in Giappone, per la gioia della Honda padrona di casa, sigillando a 25 anni il settimo titolo di un palmarès dai limiti inimmaginabili. Stagione impeccabile, per velocità, costanza e sicurezza. Come la distanza cui ha sempre tenuto i suoi rivali: Lorenzo e soprattutto Dovizioso hanno provato a turbargli il sonno, creandogli però solo leggeri incubi passeggeri. Marc nel 2018 ha dato il meglio di sé («La mia stagione migliore, più completa del 2014 dei record», ha detto), ingigantendo la rilevanza della componente umana nella conquista della corona. Il ruolo del pilota, evidenziato pure dal Dovi, degnissimo e leale rivale («Non aveva una moto per fare una differenza da 100 punti, ce l’ha messa lui», l’elogio), è stato decisivo per portare in orbita una Honda valida, ma spesso in scia all’eccellente Ducati Desmosedici di Dall’Igna. L’astronave che ha provato a ostacolarne il volo e che spera nella rivincita del prossimo anno.
INIZIO COMPLESSO Avvio di stagione complicato, in verità, per Marquez. Più che per la volata persa con Dovizioso in Qatar – consueto attacco all’arma bianca di Marc all’ultima curva e solito sagace incrocio del Dovi -, per il blackout di Termas de Rio Hondo. Lì Marc va in tilt con la corresponsabilità della Direzione Gara, fra caos in griglia e speronamenti vari. Il più grave, a Rossi, riapre la loro faida. Mai sopita. Si parte con le scuse respinte ai box – da Uccio, padrone in casa Yamaha – e le accuse di Vale («è pericoloso, non accetto scuse, mi prende per i fondelli»), si finisce alla non-pace di Misano, a settembre. Quando Marquez purtroppo accolto in Italia da ignobili rappresentazioni funerarie e teste di maiale - fa spallucce: «Vale dice che non ci sono problemi, ma non mi vuol dare la mano? Va bene, non è un mio problema, io corro lo stesso». Accerchiato dalle amnesie argentine, Marquez si risolleva nel feudo di Austin, terza gara, dove inizia il rilancio. In Texas lo sceriffo Ezpeleta impone la pace, ma in Commissione Sicurezza fra i due volano lo stesso pallottole: «Scorretto? Ho imparato da te» (Marquez): «Ma se ne ho buttati fuori 4 in 20 anni e tu 5 in un solo GP» (Rossi).
LA VETTA Il primo mese a inseguire, poi Marc a Jerez mette la freccia e conquista la vetta iridata da cui fa partire la sua planata mondiale. In Spagna l’istantanea più emblematica della stagione: lui è in testa mentre dietro Pedrosa e le Ducati si autoeliminano fra loro in uno strike beffardo. Prego, fate pure a gara a inseguirmi, io intanto scappo. Bottino pieno pure in Francia, dove scarta felice il dono del Dovi, per poi scivolare al Mugello, unica caduta in gara della stagione. Dalle colline toscane in poi, però, il suo vantaggio (+23) cresce sempre, fino al +77 con cui arriva a Motegi, teatro del sigillo. Ecco un’altra chiave del suo successo, la progressione
inesorabile: sempre una spanna più avanti in classifica, a ogni gara, anche se in pista paga talvolta dazio contro una Ducati che lo fa sudare. D’estate, manco a dirlo.
SERIAL WINNER Come un attaccante che segna a raffica e poi gestisce la risacca con intelligenza, Marquez piazza vittorie seriali. Dopo la tripletta Austin-Jerez-Le Mans ecco la doppietta Olanda-Germania giusto per andare in vacanza sereno a +46 sul «46», Rossi, presunto rivale per un terzo di stagione con una Yamaha ansimante. I veri nemici sono però rossi, con la «r» minuscola, e alla ripresa agostana lo stuzzicano: Lorenzo e Dovizioso, tornato il DesmoDovi 2017 dopo la destabilizzante fase del rinnovo contrattuale con Borgo Panigale, vanno a segno tre volte di fila. Marquez è piegato dalla tenaglia Dovi-Lorenzo a Brno (3°), paralizzato dal sorpasso «por fuera» di Jorge a Zeltweg (2°) e incenerito dal fulmine «DesmoDovico» a Misano (2°), ma regge alle ondate con inedita lungimiranza e non imbarca acqua.
LA GESTIONE Non perde il vizio del limite, ci mancherebbe, perfeziona anzi, solo in prova, i suoi salvataggi estremi di ginocchio-gomito (vedi Montmelò e l’emblematica esclamazione di Davide Tardozzi «Questo è un fenomeno») e acquisisce saggezza. Merito di Dovizioso che con il suo ringhio composto lo costringe a badare al sodo. L’istinto felino riemerge prepotente nel finale, con la tripletta Aragon-Buriram-Motegi - altra sequenza, per non smentirsi -, che chiude i conti. Il graffio di Aragon lascia i segni, sia al Dovi, sia a Lorenzo, aprendo una piccola polemica con il suo futuro compagno, sull’arrivo del quale in Honda non ha posto veti («Togliamo alla concorrenza un pilota veloce, sarà una sana rivalità che ci farà crescere»); in Thailandia riesce finalmente a battere Dovizioso all’ultima curva; in Giappone mette la ceralacca alla busta con la stessa tattica: lascia l’andatura al forlivese per poi azzannarlo alla fine. Implacabile e costante, Marquez è una sentenza. Il suo Mondiale è nelle parole del 3° posto di Brno, suo peggior arrivo. «Ho finito a meno di mezzo secondo dal vincitore: non male per aver limitato i danni». Settebello? Sì, ma è questo il vero jolly.