La Gazzetta dello Sport

Ravanelli: «Spero che questa sia anche la finale»

●Penna Bianca ha giocato in entrambe le squadre: «A Marsiglia mi sono sentito a casa. Nella Lazio quanti campioni»

- Simone Lo Giudice

Generoso e versatile. Uno disposto a gettarsi nel fuoco pur di lasciare il segno. A volte come singolo, più spesso come arma in più di una squadra vincente. Fabrizio Ravanelli non ha avuto paura di ribaltare la sua vita dopo la Champions vinta con la Juve nel 1995-96: «Per noi quella Coppa era questione di vita o di morte». Dopo quel trofeo è iniziato il suo viaggio per l’Europa: prima al Middlesbro­ugh in Premier, poi al Marsiglia, che questa sera ospita la Lazio, dove Fabrizio è sbarcato nel 1999-2000, vincendo lo scudetto: «È una gara speciale per me. Spero che si affrontino anche in finale». Ma prima c’è la sfida nel catino infuocato del Velodrome, che Penna Bianca conosce bene: «Oggi è diventato più bello, mette tanta pressione ma ti spinge anche a dare tutto».

Che cosa ricorda di Marsiglia?

«Ci sono arrivato dopo aver fatto grandi cose in Premier, dove ho vinto il premio di miglior straniero all’esordio. A Marsiglia mi sono sentito a casa, porto i tifosi nel cuore. E poi lì è nato anche mio figlio Mattia».

Col Marsiglia affrontò la Lazio nella Champions 1999-2000...

«Nell'andata della seconda fase a gironi, entrai a inizio secondo tempo ma perdemmo 2-0. Quella Lazio era imbottita di campioni, che mesi dopo avrebbero vinto lo scudetto».

Perché scelse la Lazio?

«Alla fine del 1999 sono tornato in Italia per un problema familiare, mio padre mi stava lasciando. Il presidente Cragnotti mi ha permesso NELLA SQUADRA FRANCESE di giocare in una delle squadre più forti del mondo all’epoca. Nella gara di ritorno con il Marsiglia all'Olimico vincemmo 5-1, poker di Simone Inzaghi. Qualche giorno dopo perdemmo a Verona 1-0 in campionato e ci fu un faccia a faccia nello spogliatoi­o. Fu il momento più basso, ma anche di ripartenza. Poi le vincemmo quasi tutte e fu scudetto e Coppa Italia».

Tanti giocatori di quella squadra oggi sono diventati tecnici...

«Non solo Inzaghi, anche Simeone, Mancini, Mihajlovic, Nesta, Conceiçao... Era una squadra di grandi uomini, vivevamo per il calcio. C’era Peruzzi, rimasto nell'ambiente Lazio. Simone è stato un ottimo giocatore, da allenatore è un grandissim­o. Prepara le gare in maniera maniacale e non cerca giustifica­zioni nei momenti difficili».

I TIFOSI DEL MARSIGLIA SONO NEL MIO CUORE. LÌ È NATO MIO FIGLIO

Che cosa manca a questa Lazio per diventare grandissim­a?

«Trattenere i giocatori più forti, che spesso invece sono stati fatti partire. Peccato perché ha un fenomeno come Immobile, che a Roma si sente un leader».

Oggi c’è uno come Ravanelli?

«Mi rivedo in Mandzukic della Juve per il temperamen­to e lo spirito di sacrificio. Un faticatore, uno che dà tutto per la squadra e non tira mai indietro».

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