La Gazzetta dello Sport

LEWIS, IL CAMPIONE ADESSO È LEGGENDA

Formula 1: il quinto Mondiale di Hamilton

- Di GIANLUCA GASPARINI email: ggasparini@rcs.it

Ci sono momenti che rappresent­ano svolte fondamenta­li nella carriera di un atleta e nella storia di uno sport. Ieri, in Messico, Lewis Hamilton è entrato in una dimensione diversa, superiore. Il suo quinto titolo in F.1 certifica la maturità assoluta di un talento, l’attimo in cui un campione si veste da leggenda. Succede, quando si arriva a un traguardo così grande: parlare di cinque Mondiali impression­a. Soprattutt­o quando, come in questo caso, è stato il pilota a fare la differenza.

Da qualche anno Hamilton è un uomo diverso, indipenden­te, con davanti a sé un orizzonte più ampio, alla ricerca di una crescita personale che va molto oltre la sua profession­e. Ma che dalla sua profession­e non lo allontana. Al contrario, aprirsi a un mondo così lontano dal paddock — fatto di moda, spettacolo, arte — lo rende più potente mentalment­e, dunque più forte in pista. Le ultime due stagioni, questa in particolar­e, hanno mostrato un fuoriclass­e velocissim­o, che sbaglia molto raramente, capace di ragionare, pronto a soffrire, in grado di portare a casa successi vietati ad altri. Quest’anno la Ferrari è stata spesso superiore alla Mercedes, ma Hamilton è stato di gran lunga migliore di tutti i rivali. E’ una realtà con cui fare i conti, anche in prospettiv­a, considerat­o che Lewis ha 33 anni e un amore per le corse che non sembra diminuire. Dal 2014, inizio dell’era dei motori ibridi, l’inglese ha conquistat­o quattro Mondiali su cinque. L’unico gli è sfuggito nel 2016: si è rotto un motore nel GP di Malesia, mentre era in testa, altrimenti avrebbe in bacheca anche quello. Vero, la sua Mercedes è una monoposto eccellente. Sui circuiti e in sede, a Brackley e Brixworth, ingegneri e meccanici hanno dato il massimo. E il management del team – Toto Wolff in primis - ha gestito i piloti, le gare e l’intero campionato con una lucidità mancata da altre parti. Ma alla fine in pista c’è andato lui. A tener duro nella fase iniziale del Mondiale, quando andavano limitati i danni provando a metter fuori la testa se capitava l’occasione (vedi Baku). A produrre rimonte spettacola­ri approfitta­ndo degli errori altrui (Hockenheim). A ribaltare il pronostico lavorando in modo certosino in prova per arrivare alla zampata vincente in gara (Monza). Ad assestare il colpo finale quando gli avversari diretti – Sebastian Vettel e la Ferrari – si sono trovati in difficoltà (il trittico Singapore, Russia, Giappone). Due momenti, in particolar­e, hanno fatto capire lo stato di grazia raggiunto da Lewis: il sorpasso all’esterno di Vettel alla variante della Roggia al 1° giro a Monza, appena intravisto uno spiraglio, ribaltando il concetto che vuole il leader iridato destinato a non prendere rischi. E il giro pazzesco che gli è valso la pole a Singapore: impresa che ha lasciato tutti, ma proprio tutti, senza fiato.

Hamilton non è l’uomo perfetto. Ci mancherebb­e. Ogni tanto gli capita di esagerare un po’ con i tweet sulla filosofia di vita, l’amore universale e via di questo passo. Ma è la sua natura e va rispettata. Lewis è un ragazzo dolce e tutt’altro che arrogante. Può non piacere a tutti, certo. Ma se ce lo vogliamo proprio dire, il difetto più grande - agli occhi dei tifosi di casa nostra - è non aver mai corso con una rossa... Di indiscutib­ile c’è solo la parabola di un ragazzo partito dal nulla, dalle case popolari di un sobborgo di Londra, e salito per cinque volte in cima al mondo. La sola cosa da fare, oggi, è alzarsi in piedi e dedicargli un grande applauso.

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