ORIANI, EROE DEL GIRO E DELLA GRANDE GUERRA
1Il 4 novembre 1918 si poneva fine al conflitto A Trieste le celebrazioni tra cortei contrapposti
C’è da chiedersi quanto siano cambiate l’Italia e l’Europa in questo secolo. Tantissimo. Il Continente prospera, nonostante qualche difficoltà, ma tornano d’attualità i sovranismi. Il presidente Mattarella chiude ufficialmente le cerimonie nel centenario dell’entrata in vigore dell’armistizio con l’Austria
Il 4 novembre del 1918 l’Altopiano di Asiago, e in generale gran parte del Veneto e dei luoghi dove si era combattuto per quattro durissimi anni, si presentava ridotto in macerie e anche i boschi somigliavano a un deserto di tronchi smozzicati. Si cominciò poco dopo a riforestare, e le vecchie latifoglie furono sostituite da più produttive conifere. Fino a qualche giorno fa...
Sono in molti da quelle parti a fare il raffronto, in queste ore. Dicono che la devastazione portata dal maltempo, con un vento a 180 chilometri all’ora, è simile soltanto a quella di un secolo fa e c’è da chiedersi, se oltre a questo suggestivo eppure disastroso confronto, ci sia dell’altro che accomuna l’Italia di oggi a quella del 1918. Il raffronto non si può proprio fare. Quella di allora era un’Italia poverissima, che usciva da una guerra mondiale tremenda con milioni di morti. Un’Italia che aveva mandato al macello la sua migliore gioventù: avrete senz’altro sentito parlare dei “ragazzi del ‘99”. Almeno 260 mila ragazzi precettati quando non avevano ancora compiuto 18 anni, istruiti frettolosamente e spediti al fronte subito dopo la disfatta di Caporetto. Erano quasi tutti meridionali e analfabeti, arrivarono sul Piave, sul Grappa, sul Montello nel novembre del ‘17, con addosso un freddo mai sentito. «Novantanove, m’han chiamato. M’han chiamato m’han chiamato a militar. E sul fronte m’han mandato. M’han mandato m’han mandato a sparar. Combattendo tra le bombe. Ad un tratto ad un tratto mi fermò. Una palla luccicante. Nel mio petto nel mio petto penetrò...».
Un anno dopo a Villa Giusti si firmava l’armistizio e gli austriaci si arrendevano (ma di questo parliamo meglio nel pezzo qui sotto). Più che l’Italia, era l’intera Europa a somigliare - seppure alla lontana - a quella di oggi. Attraversata dai nazionalismi, dalle divisioni, dalle crescenti disparità di classe sociale. Certo, si sparava, si uccideva, anziché affrontarsi a colpi di spread... E non è la stessa cosa.
Un po’ troppo esagerato il raffronto. Ma è vero che la ricorrenza è stata subito fatta propria dalle forze politiche di ispirazione nazionalista. Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia, ha proposto di ristabilire la festività del 4 novembre. «È una festa molto più unificante di altre che oggi sono festa nazionale» ha detto, riferita al 25 aprile (la liberazione dall’occupazione nazifascista) e al
2 giugno (la festa della Repubblica preferita alla Monarchia con un referendum nel 1946). E in effetti, il 4 novembre fino al 1976 era un giorno festivo, per poi trasformarsi in una ”festa mobile” accorpata alla prima domenica di novembre. I più grandicelli in questo giorno si rivedranno bambini intenti a far visita alle caserme, a salire su carri armati e jeep, mentre nei porti delle città di mare erano al molo fregate e corvette... La Meloni, invece, stavolta festeggerà organizzando un presidio davanti alla sede di Autostrade a Roma, uno davanti a quella milanese di Moody’s, un altro alle acciaierie di Terni, manifestazioni contro mafie nigeriana e cinese a Macerata e a Napoli. Tutto all’insegna di “Oggi come ieri non passa lo straniero”. Rivisitazione dello slogan salviniano “Prima gli italiani”. Ma è a Trieste che ieri si è focalizzata l’attenzione in vista del centenario di oggi. L’organizzazione di estrema destra CasaPound ha deciso di sfilare nel capoluogo giuliano: duemila persone hanno attraversato il centro, mentre un altro corteo ben più corposo (circa 5 mila persone) ha radunato gli antifascisti. In mezzo, le reti metalliche, le transenne, gli idranti della polizia per evitare che le due manifestazioni si incontrassero, con atmosfere che non si vedevano da tempo.
CENT’ANNI DOPO
651
LA CHIAVE Secondo una stima del demografo Mortara furono 651 mila i soldati italiani morti in guerra
Una ricorrenza che comunque s’intenda sarebbe di tutti, ancora una volta trasformata in un’oc-
casione divisiva.
Senza voler prendere parte, la Prima guerra mondiale non c’entrerebbe nulla con l’antifascismo e tantomeno col fascismo. Per molti, anzi, fu solo un conflitto insensato fomentato dai rancori del tempo, il sonno della ragione, il trionfo di ideologie malate, il primo massacro di massa con armi progettate per uccidere indiscriminatamente, la stagione di incredibili eroismi ma anche di generali ignavi, con le decimazioni e con i carabinieri mandati a sparare alle spalle dei poveri fanti che provassero a retrocedere per sfuggire al fuoco nemico.
A Trieste oggi farà visita anche il presidente della Repubblica Mattarella. Trieste perché con Trento era stata l’oggetto più ambito
dell’irredentismo teso, al costo di usare le armi, all’estensione dei confini nazionali alle regioni con popolazione italiana ma occupate dall’impero austro-ungarico. Il 4 novembre entrò in vigore l’armistizio, dopo la firma dei trattati del pomeriggio precedente a Villa Giusti, e in quel giorno le truppe italiane sfilarono trionfanti in città, precedute di poco nel porto dal cacciatorpediniere Audace. Mattarella la mattina sarà al Sacrario Militare di Redipuglia accompagnato dal ministro della Difesa Elisabetta Trenta. Subito dopo a Trieste, appunto in piazza dell’Unità d’Italia, per chiudere ufficialmente le cerimonie per il centenario della Grande Guerra.