La Gazzetta dello Sport

SENZA IL CICLISMO, MI SAREI IMPEGNATO A LORO DIFESA

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SU UNA «SECONDA VITA»

era un ragazzino, i tecnici sono andati nella sua scuola, hanno fatto i test, gli hanno fatto vedere un’opportunit­à nello sport. E, come lui, centinaia di altri atleti. I soldi? Non è detto che entri nel ciclismo con 50 milioni e vinci subito».

Lei ha iniziato ad Aigle, al Centro mondiale Uci in Svizzera.

«Esperienza fantastica. Sono stato uno dei primi corridori ad arrivare e avevamo ogni genere di supporto. Era la prima volta che venivo in Europa ed era tutto così differente rispetto all’Africa: non avevo mai visto la neve o una montagna. A casa le salite più lunghe erano di 10 minuti, in Svizzera più di un’ora».

Se i suoi figli, un giorno, volessero fare i corridori?

«Il ciclismo è passione, amore. Una cosa che devi sentire dentro e che non si trasmette per eredità. Non imporrò nulla: se sceglieran­no questa strada, sarò il primo a dare consigli».

NUOVE SFIDE «Le corse di un giorno? Mi attira la nuova sul Ventoux. Ma cambierei preparazio­ne solo per Tokyo 2020»

Ha intenzione di restare nel ciclismo dopo il ritiro? Magari guidando una squadra da d.s.

«Certo, perché no? Non lo escludo. Ho tanta passione, mi piacerebbe insegnare ai giovani, per esempio».

E se non avesse fatto il ciclista?

«Ho un grande amore per gli animali e per la natura. Per la conservazi­one, per la sua difesa. Se non avessi fatto il ciclista, mi sarei occupato di quello. Salvare i rinoceront­i dall’estinzione, per esempio: sulla mia bici avevo anche la loro immagine. Oppure l’esauriment­o delle risorse naturali: una questione importante che non viene presa abbastanza sul serio. E’ questo che mi preoccupa per il futuro».

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