SENZA IL CICLISMO, MI SAREI IMPEGNATO A LORO DIFESA
SU UNA «SECONDA VITA»
era un ragazzino, i tecnici sono andati nella sua scuola, hanno fatto i test, gli hanno fatto vedere un’opportunità nello sport. E, come lui, centinaia di altri atleti. I soldi? Non è detto che entri nel ciclismo con 50 milioni e vinci subito».
Lei ha iniziato ad Aigle, al Centro mondiale Uci in Svizzera.
«Esperienza fantastica. Sono stato uno dei primi corridori ad arrivare e avevamo ogni genere di supporto. Era la prima volta che venivo in Europa ed era tutto così differente rispetto all’Africa: non avevo mai visto la neve o una montagna. A casa le salite più lunghe erano di 10 minuti, in Svizzera più di un’ora».
Se i suoi figli, un giorno, volessero fare i corridori?
«Il ciclismo è passione, amore. Una cosa che devi sentire dentro e che non si trasmette per eredità. Non imporrò nulla: se sceglieranno questa strada, sarò il primo a dare consigli».
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Ha intenzione di restare nel ciclismo dopo il ritiro? Magari guidando una squadra da d.s.
«Certo, perché no? Non lo escludo. Ho tanta passione, mi piacerebbe insegnare ai giovani, per esempio».
E se non avesse fatto il ciclista?
«Ho un grande amore per gli animali e per la natura. Per la conservazione, per la sua difesa. Se non avessi fatto il ciclista, mi sarei occupato di quello. Salvare i rinoceronti dall’estinzione, per esempio: sulla mia bici avevo anche la loro immagine. Oppure l’esaurimento delle risorse naturali: una questione importante che non viene presa abbastanza sul serio. E’ questo che mi preoccupa per il futuro».