EURO INTER Lo spread è in calo ma Spalletti vuole di più contro le big
Personalità, tifosi e top player come Skriniar e Icardi riducono le distanze. Ma devono crescere gioco, rosa e fatturato
«Quanto manca?» «Ancora un po’». «E adesso?» «Come prima». «E adesso?». Impaziente come un bambino sulla strada verso il Luna Park, l’Inter si interroga appena può sulla distanza che la separa dal suo specialissimo Paese dei Balocchi, quello che ospita le big d’Europa, i match che contano, le coppe che brillano. Ultimo aggiornamento: Icardi e compagni sono in macchina, la benzina c’è, il navigatore funziona. La strada è giusta, ma non è ancora il caso di cercare parcheggio. E non è detto che sul tragitto non si incontri qualche coda. Il confronto con i migliori - e il Barcellona è nella cerchia ristretta (molto ristretta, diciamo G3) dei top d’Europa - è un buon momento per misurare le distanze. Per valutare lo spread (passando a concetti da adulti) fra le «economie» più solide e la propria. Ecco, non arriveranno richiami dall’Europa, lo spread c’è ma non è a livelli preoccupanti. Anzi, si riduce, se consideriamo che la squadra di Spalletti partiva dalla 4ª fascia del sorteggio.
PALETTI Servono alcune premesse. I paragoni con il Barcellona sono inevitabilmente penalizzanti (lo sarebbero anche per comprovate big europee): a livello di gioco e di filosofia portata avanti da oltre un decennio i blaugrana sono un unicum. Spulciando gli archivi, si possono trovare considerazioni sulla distanza dopo lo 0-0 coi catalani che aprì la campagna europea dell’Inter 2009-10 (Moratti: «Si è vista una differenza col Barcellona, ma insistendo... Il gioco deve ancora arrivare, ma può arrivare»). Sotto alcuni punti di vista, poi, le differenze sembrano essere state annullate: la personalità di squadra è da «grande»; il palcoscenico di San Siro e l’entusiasmo dei tifosi è da «eliminazione diretta»; alcuni uomini, come Handanovic, Skriniar e soprattutto Icardi, recitano copioni da protagonisti europei. Fissati questi paletti, è utile verificare che cosa ancora manca. LE DISTANZE Il differenziale più alto, e più appariscente a San Siro, è stato relativo al gioco. L’idea di «andare a prendersi il pallone» ha incontrato più resistenze del previsto (e già ne erano previste parecchie). Busquets ha asfissiato Brozovic, gli esterni hanno creato superiorità, il Barcellona ha completato 662 passaggi contro 312, costringendo gli interisti a correre «a vuoto» 7 chilometri più di loro. Numeri enormi che rappresentano bene quella superiorità di palleggio apparsa evidente. Il tiqui-taka, come Roma, non si costruisce in un giorno: il processo è stato avviato, la filosofia è stata recepita, ma per sfidare i giapponesi sulla tecnica di taglio del sushi serve un lungo apprendistato. L’ingresso di Malcom, la panchina di Rafinha, il modo in cui il Barça ha superato l’assenza di Messi (e di due centrali difensivi) raccontano poi l’ampiezza della rosa di Valverde. E se è vero che l’ingresso di Lautaro ha dato la scossa, le scelte di Spalletti sono decisamente più limitate. Nainggolan non al meglio, quasi zoppicante, gioca comunque perché le alternative non garantiscono lo stesso potenziale. Gli infortuni nel lungo periodo (specie in mezzo) rischiano di pesare più che altrove. Il progetto tecnico è «giovane», nonché ampiamente rinnovato in estate: questo fa sì che gli automatismi tattici siano appena stati costruiti. Se altre big possono cambiare 3-4 moduli nel corso di una gara, l’Inter oggi ondeggia solo fra 42-3-1 e 4-3-3 (scarti minimi).
IL DENARO Il tutto, in fondo, può essere riassunto con la differenza fra stadio del progetto (è l’anno del ritorno in Champions) e la qualità a disposizione in rosa. Quest’ultima poi, è legata forzatamente a un altro spread, quello economico. I 693 milioni di fatturato del Barça, contro i 297 dell’Inter, si traducono in più campioni in blaugrana. Ridurre quel gap è nei progetti di Steven Zhang. Ieri ha scritto sui social: «Sono orgoglioso. Squadra che merita tutto». Anche il Luna Park, il più in fretta possibile.