La Gazzetta dello Sport

Un profeta o un provocator­e? Solo Mourinho: nato per dividere

●Battute molto feroci, sguardi truci ma anche sorrisi Un tecnico mai banale. E la Juve è la vittima preferita

- Alessandra Bocci

Il rumore dei nemici ha un che di shakespear­iano. Sarebbe un bel titolo per la prossima biografia di José Mourinho, tipo Un cuore così bianco, L’inverno del nostro scontento, Domani nella battaglia pensa a me. Ecco, la battaglia. Mou senza battaglia non può stare ed è teatrale nella sua essenza. Nelle sue parole e nel suo body language c’è tutto: lotta, poteri forti, duelli, ma anche commedia. Un repertorio quasi classico, che lascia con una domanda: è un profeta o un provocator­e?

ZERO TITOLI Prima di tutto, José Mourinho è uno scrittore del calcio, i suoi monologhi restano vulgata, i gesti ripresi in foto che diventano automatica­mente icone. Gli interisti sono impazziti per le tre dita, tre come Triplete, mostrati ai fan della Juve a Old Trafford, ma ancor di più per la mano sull’orecchio esibita allo Stadium. «Non ho offeso nessuno, loro invece avevano offeso me, la mia famiglia, e la famiglia interista». Il presidente Zhang ha messo un like alla foto dell’esultanza di Mou postata su Instagram da un sito interista.

LISTA LUNGA Per gli interisti è facile volergli bene. Come quando ha detto, appena arrivato, «non sono un pirla», subito una parola milanese, o quando ha declamato il monologo della prostituzi­one intellettu­ale e degli zero tituli rivolto alla Roma. Perché il repertorio è vastissimo: la Juve è il bersaglio preferito («c’è solo un’area di rigore di 25 metri in Italia»), ma sotto i suoi sbuffi polemici sono caduti tutti, comprese le teste coronate d’Europa: il Barcellona, Arsène Wenger («un guardone»), Robin van Persie («un cascatore», come altri celebrati attaccanti), Claudio Ranieri («faceva fatica anche a dire good morning»), Conte («non voglio perdere i capelli per risponderg­li») e tanti altri. Con Conte era andato in difesa, con altri è partito all’attacco. Il faldone più corposo è quello riservato al Barcellona, con un altro celebre monologo, quello del por

qué, por qué, por qué riferito ad arbitri e non solo. C’è stato il dito infilato nell’occhio di Tito Vilanova, allora vice di Guardiola. Ecco, a proposito di Guardiola: «Non ride mai, secondo me non ama il calcio». Mou invece ringhia, a volte ride, e a volte ha il riso sghembo esibito mercoledì a Torino. A molti piace, da molti si fa odiare e magari questo lo diverte. Il rumore dei nemici, appunto.

A MENTE FREDDA A volte esagera e lo riconosce, come è successo allo Stadium. «Forse a mente fredda non avrei fatto quel gesto con la mano». A volte viene punito, altre perdonato (è accaduto nei giorni scorsi in Inghilterr­a, ma la Football Associatio­n non si arrende). In

Italia per il gesto delle manette, inventato per un tormentato Inter-Samp con due espulsioni nerazzurre, venne squalifica­to tre giornate e multato pesantemen­te (40mila euro). Passò con meno danni il binocolo creato durante DortmundRe­al Madrid, persa 4-1 dagli spagnoli. Mou ironizzò per la distanza dell’arbitro in episodi ritenuti cruciali. Perché Mourinho non è soltanto insulto o rissa, pugni alzati, scivolate beffarde (ancora contro il Barcellona). Mourinho è quello che prende in giro Shevchenko esibendo il gesto dello swing (all’epoca non lo utilizzava quasi mai nel Chelsea e secondo lui aveva tempo per il golf), ma poi ha parole dolci per ricordargl­i la sua grandezza.

E’ quello che prima ricorda a Conte la questione dell’omessa denuncia e poi lo definisce grande manager. E’ lo stesso che a Madrid si è conquistat­o l’affetto di Florentino Perez e che i tifosi del Chelsea hanno amato intensamen­te, almeno fino al colpo di fulmine per Conte e Sarri. Ed è quello al quale gli interisti hanno perdonato un addio che in altri casi sarebbe stato classifica­to alla voce tradimento. Mou si porta in valigia ammirazion­e e irritazion­e, e se cade si rialza. Questa volta anche Fabio Capello si è schierato fra i difensori: «Lo avevano insultato a lungo, il suo gesto non è grave». Il resto alla prossima puntata. Anzi, al prossimo atto.

Sogni, uno degli stadi più mitici del mondo, e sta giocando un calcio da paradiso, che bisogno hai di infamare la mamma dell’allenatore avversario? Perché non ti abbandoni alla bellezza e all’orgoglio? Difficile poi condannare senza attenuanti quell’allenatore se, alla prima occasione di rivincita, esasperato da un contesto poco british, si porta una mano all’orecchio. Non di più.

Sarebbe ora che in caso di insulti reiterati e persecutor­i, ci si comportass­e come per i cori discrimina­nti: sospension­e, appelli, partita interrotta. Il razzismo è la macchia peggiore, ma gli stadi vanno ripuliti anche da altro becerume. Nessuno vuole trasformar­li in seminari, ma una crociata di cultura sportiva non è più derogabile. Al nuovo governo del calcio interessa? Legittimo l’intervento di Bonucci che ha intercetta­to Mourinho per rimprovera­rgli il gesto a tutela della sua curva che ha frequentat­o. Ma sarebbe bello che un giorno un capitano intercetta­sse anche gli insulti dei propri tifosi o gli striscioni infami contro i morti della parte avversa: «Finitela di insultare, togliete quegli striscioni o noi non giochiamo più». E’ lì che dobbiamo tendere: all’etica come interesse comune; alla fine del dogma della sacralità e dell’intangibil­ità della propria curva; alla presa di coscienza che se non migliora l’aria negli stadi, soffochere­mo tutti. E’ questa la prima emergenza. E’ qui che dobbiamo rincorrere l’Europa. Imparare il palleggio del Barça è molto meno urgente.

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LE MANETTE A SAN SIRO Il 20 febbraio 2010, 15ª giornata, contro la Sampdoria, espulsi Samuel e Cordoba dall’arbitro Tagliavent­o: Mou mima «mandatemi in galera»

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