IN MISSIONE PER SOLIDARIETÀ
La corsa rosa da sempre impegnata nel portare aiuto e speranza
L a missione impossibile del Giro d’Italia scatta il 15 giugno 1946, con le strade ridotte a pietraie e un Paese distrutto dalla guerra. E non finirà mai.
La missione impossibile del Giro d’Italia scatta il 15 giugno 1946, con le strade ridotte a pietraie e un Paese distrutto dalla guerra. E non finirà mai. Perché la solidarietà della corsa rosa affonda in ogni piccola o grande pedalata data dal 1909, da quella notte in piazzale Loreto a Milano.
Il Giro è Italia, è speranza, sempre. Quando si dice che questa nazione è cresciuta grazie al filo rosa della corsa Gazzetta, vuol dire che nei momenti più estremi la bicicletta ha portato un attimo di sorriso, autentico, alle popolazioni. Lo spirito di unità si è identificato in personaggi iconici, idoli del tempo come Costante Girardengo, che nel 1919, nel primo Giro dopo la Grande Guerra, in maglia tricolore vince a Trieste la tappa partita da Trento. Le due città redente. Una giornata che onora i seicentomila morti della prima guerra mondiale. È Giordano Cottur, il simbolo di Trieste 1946, più forte della sassaiola e dei colpi di arma da fuoco che a Pieris investono il gruppo per fermare chi porta un messaggio di unità nazionale: Trieste è sotto il controllo degli Alleati, gli jugoslavi di Tito sono alle porte, ma la città si sente italiana e vuole tornare tricolore.
Il Giro incarna questi semi. E il miracolo del 1946 si compie nel segno di Vincenzo Torriani, il nuovo patron della corsa. È il primo a non tirarsi indietro e a incarnare questo spirito estremo che supera ogni difficoltà e trasforma la corsa in un miracolo. Non parliamo di tecnica, di rapporti, di salite. E non ci riferiamo a giornate terribili come la neve sul Bondone nel 1956 o in cima al Gavia nel 1988. No, parliamo di anima. Di spirito.
È il coraggio di toccare, per la prima volta insieme, la Sardegna e la Sicilia nel 1961, per festeggiare il Centenario dell’Unità nazionale. Un pellegrinaggio nei luoghi della nostra storia: Teano, Solferino della Battaglia, Vittorio Veneto, Trieste, Trento. È la prima partenza dalla Città del Vaticano, nel 1974, con Papa Paolo VI che benedice la carovana. È il Giro che il 6 giugno 1977 sfila tra le macerie di Gemona del Friuli, un anno dopo il terremoto. È l’omaggio a Marcinelle, in Belgio, nel 2006, per i 50 anni della tragedia dei 136 italiani morti nella miniera: vite sacrificate per l’Italia, mani in cambio di carbone. È L’Aquila 2010, un altro terremoto da ricordare. Così come il Vajont nel 2013, anche in questo caso 50 anni dopo. O il Belice nel 2018.
Ieri tra Veneto e Trentino, sulle strade dove il Giro si è fatto storia d’Italia, è stato proprio questo il messaggio portato dal c.t. Davide Cassani: speranza, solidarietà, abbraccio. Il Giro non dimentica mai i suoi figli.