Da Ancelotti a Mancini «Basta con gli insulti fermiamo le partite»
●L’allenatore del Napoli chiede provvedimenti forti per mettere fine ai cori offensivi: «In Inghilterra e Spagna altra educazione»
Amali estremi, estremi rimedi. Fermare una partita di calcio è molto estremo, si sa. Ma forse a questo punto è anche necessario. Non solo in caso di episodi di razzismo. Se c’era un sasso da gettare contro il malcostume dell’offesa a prescindere, non poteva che uscire dalla tasca di Carlo Ancelotti: uno tornato ad allenare in Italia dopo averlo fatto, e aver vinto e visto come funziona, anche in Inghilterra, Francia, Spagna e Germania. Uno che con Josè Mourinho, che da poco a Torino ha tirato, alla fine di Juventus-Manchester United, un macigno e non un semplice sasso, ha condiviso cose importanti.
Gli insulti di un intero stadio — a fine settembre, durante Juventus-Napoli, gli gridarono per tutti i 90’ «maiale» — e pochi giorni fa, per istintiva solidarietà, la simbologia di una mano portata all’orecchio come risposta a parole in libertà (che non è più libertà, ma solamente bieca provocazione).
LA PROPOSTA Dunque Ancelotti ieri è passato allo step successivo. E ha lanciato la sua proposta a Coverciano, sul palco dell’Auditorium, nel corso del dibattito tecnico tra gli allenatori presenti alla Panchina d’Oro. Perché c’è diluvio e diluvio (di provocazioni) e «se si fermano le partite quando piove, possiamo farlo anche quando si esagera con gli insulti. Abbiamo questo vantaggio: sfruttiamolo. Si può fare e penso che lo faremo». In altri mondi calcistici non è necessario («Impossibile essere offesi cos’ in Inghilterra e Spagna: lì c’èaltra educazione»), in Italia sì: «A livello di cultura siamo indietro, si pensa ancora che una partita di calcio sia una battaglia».
GLI ALLEATI E allora che battaglia sia: contro chi inquina il calcio senza il freno del rispetto. Ancelotti ha trovato facili alleati in Antonio Conte e Roberto Mancini, colleghi che come lui hanno conosciuto almeno una realtà calcistica fuori dai nostri confini. L’ex c.t.: «Non sono la persona più adatta a parlare del gesto di Mourinho - ha sorriso - ma posso dire che non è un caso che Ancelotti, che è stato a lungo lontano dall’Italia, arrivi a chiedere di fermare le partite. La verità è che all’estero non esiste la cultura dell’insulto continuo e viene difficile accettare simili comportamenti: in Inghilterra si arriva con il pullman in mezzo ai tifosi avversari, si fanno foto con loro. Si tifa a favore, non contro. La Serie A è tornata a crescere tecnicamente, ora è il momento di cancellare le nostre peggiori abitudini». E l’attuale c.t.: «Abbiamo questo cattivo modo di comportarci, e non è una cosa bella. Purtroppo accade quasi sempre e quasi solo da noi: all’estero è molto più difficile. E a questo punto fermarsi, come ha detto Ancelotti, potrebbe essere sì un segnale».