INSIGNE, L’ANIMA DI NAPOLI E LORENZO DIVENTA MAGNIFICO
Dopo Neymar, Pogba e Higuain, a cui è seguito un allenatore che fa la differenza come Allegri, ecco il racconto di un altro grande attaccante, stavolta italiano. Lorenzo Insigne sta vivendo un’ascesa che non conosce ostacoli e grazie alle reti in Champions si è fatto conoscere anche a livello europeo. Eppure lui è partito da lontano, da quando Zeman (a Foggia e poi a Pescara) ne intuì il talento sui campi minori. Ora deve superare l’ultima sfida: vincere con il suo Napoli, e sfondare anche in Nazionale.
È
una tiepida domenica dell’ottobre 2010 quando Zdenek Zeman, accolto dal frenetico battimani di un pubblico numeroso e in buona parte commosso, sbuca dalla scaletta degli spogliatoi dello stadio Zaccheria sedici anni dopo l’ultima volta. Davanti a lui la fila dei giocatori del Foggia, affiancata a quelli del Viareggio, si sta già disponendo al centro del campo per il saluto alla tribuna e le st rette di mano. Naturalmente osserviamo tutti l’allenatore boemo, alla ricerca di un’incrinatura emotiva nella solita maschera impassibile, e nessuno fa caso al ragazzino con una maglia numero 11 troppo grande per lui che saltella impaziente sul posto in attesa del via.
Quel piccolino fa sognare
La storia del ritorno a Foggia di Zeman - in Lega Pro, mica in serie A - è troppo gustosa per lasciarsi distrarre dal contorno. Accade però che il Viareggio passi rapidamente in vantaggio combinando un contropiede a una trappola del fuorigioco che non scatta (toh), e che il Foggia riagguanti il pareggio grazie a una serpentina di quel numero 11, che giunto sul fondo deposita un morbidissimo cross sulla testa di Agodirin, un nigeriano che è ancora in giro come lui, ma al Gravina, serie D pugliese. Bel numero, di estro e di tecnica: finito di spiare la reazione di Zeman, che ovviamente non viene, dedico uno sguardo alla distinta 11... delle numero formazioni. 11... eccolo Numero qui, numero 11 Insigne Lorenzo, classe 1991. Bravino, sì. «È in prestito dal Napoli - mi dice un collega foggiano - molto abile con i piedi, ma purtroppo non ha il fisico». In effetti, il 19enne di ritorno verso il centro del campo, mentre i compagni ancora festeggiano il goleador, è davvero piccino. Un calcio spartano l’avrebbe già espulso dal proprio circuito, probabilmente, ma quelli sono anni dominati dal Barcellona del tiqui-taca, un sublime collettivo di palleggiatori bassi e agili, tutto meno che forzuti. Nell’intervista del giorno prima Zeman aveva detto che quel Barça - all’epoca allenato ancora da Guardiola - era la realizzazione del suo credo calcistico. Sommando due più due, il giovane Insigne doveva sembrargli, almeno in prospettiva, ciò che un altro giocatore che inizia per I, il maestoso Andres Iniesta, era per Pep. Okay, non esageriamo. Sono soltanto giochini mentali per ingannare il tempo e arrivare alla fine della partita: siamo in terza serie, non cerchiamo campioni dove non ce ne sono. Però altre giocate di promettente livello mi rimangono impresse nella memoria. Il giorno dopo, lasciando Foggia, mi porto dietro i due nomi assimilati nel pomeriggio allo Zaccheria: quello del centravanti Marco Sau, che in serie A ci sarebbe arrivato con il Cagliari, e soprattutto quello di Lorenzo Insigne, esterno sinistro d’attacco del classico 4-3-3 zemaniano. Ragiono sul fatto che vent’anni prima, in quel ruolo, in quella città e con quell’allenatore, era diventato famoso Beppe Signori. Un pensiero che è un augurio.
L’intuito di Zeman è fondamentale
La stagione del ritorno a Foggia, senza infamia e senza lode in un calcio palesemente troppo distante dai suoi livelli, inaugura l’estate indiana di Zeman: quello scorcio di carriera felice e (nuovamente) ambizioso arrivato quando ormai il boemo pareva ai titoli di coda. L’anno successivo Zdenek approda al Pescara, in serie B, e la prima richiesta che avanza al presidente è quella di riavere con sé Insigne: lo piazza fra un centrocampista più saggio dei suoi anni, Marco Verratti, e una punta
Decisivo l’incontro a a Foggia con Zeman che lo rivuole con sé anche a Pescara
Sarri lo impiega nel tridente. Ora il nuovo ruolo al centro con Ancelotti
PORTA CON SÈ LA FANTASIA E LA VOGLIA DI RISCATTO DI NAPOLI. DA BAMBINO SALTAVA SPESSO LA SCUOLA PER AIUTARE PAPÀ
CARMINE AL MERCATO.
AI TEMPI DEI PROVINI VENIVA SPESSO RESPINTO: BRAVO MA «BASSINO».
UNA VITA IN RIMONTA, PURE IN CAMPO: CON BENITEZ FACEVA TUTTA LA
FASCIA PUR DI GIOCARE
di attaccare la profondità come pochi, Ciro Immobile. Mettere assieme i tre è una specie di delitto perfetto; il Pescara vince il campionato segnando 90 gol, trenta più delle migliori altre, e subendone 57, quasi come le retrocesse in terza serie. Zeman allo stato puro, e infatti la Roma si lascia tentare dal grande ritorno: non finirà bene, ma questa è un’altra storia. Noi ci concentriamo sui destini del trio di giovani talenti: Immobile finisce al Genoa (ma si consacrerà al Torino e poi alla Lazio), Verratti viene scippato alle grandi italiane addirittura dal Psg, Insigne viene richiamato alla casa madre. Il Napoli: ciò che desiderava.
Quelle scarpe di Ronaldo
Sarà adesso opportuno un bel passo indietro perché, come in tutte le grandi storie di sport, il professionismo è soltanto la logica evoluzione di una passione bruciante. Lorenzo nasce a Frattamaggiore, comune della Napoli metropolitana, nel cuore di quella sterminata periferia a Nord dell’aeroporto di Capodichino che assume nomi ascoltati mille volti, dalla Scampia di Gomorra alla Pomigliano d’Arco della vecchia Alfasud. Non è una zona facile adesso, non lo era nemmeno all’inizio degli anni 90, quando la chiusura di una fabbrica mandava in crisi un intero co«bassino», mune. Carmine Insigne - padre di quattro figli maschi - perde il lavoro e per la famiglia sono tempi duri; lo stesso Lorenzo, che è il secondogenito, salta spesso la scuola per gestire una bancarella al mercato di Frattamaggiore. Malgrado i soldi siano pochi però - come ha raccontato in una toccante lettera al Player’s Tribune - arriva il giorno in cui il padre riesce a regalargli le scarpe da calcio sempre sognate, quelle del Ronaldo interista. Uno sforzo che a Carmine dev’essere costato moltissimo, ed è un sollievo poterlo inquadrare ora come un investimento. È il momento più intenso dell’infanzia di Lorenzo, che scherza anche sulla quantità di scarpe che gli arriva oggi a casa, omaggio a un testimonial da tenersi caro: ora non gli fanno né caldo né freddo, ma alla fine degli anni 90 possedere gli scarpini di Ronaldo faceva tutta la differenza del mondo. È per questo che Lorenzo torna felice alla base. Perché il Napoli è il suo posto nel mondo e la sua missione da compiere. Mazzarri gli aveva già fatto giocare un minuto di serie A, nel 2010 prima di spedirlo a Foggia: era successo a Livorno, ingresso in campo al 94’ al posto di German Denis. Per l’occasione Frattamaggiore gli aveva dedicato una festa a sorpresa, la tenera felicità del borgo per il bel traguardo raggiunto da uno dei suoi figli. Ecco, è per questo che Insigne recupera in fretta da ogni botta, si rialza subito dopo ogni sconfitta, rilancia sempre la sfida a quanti lo vedono bravo, sì, però l’ultimo salto di qualità? Insigne è in missione per un borgo ogni giorno più allargato, così allargato da contenere ormai l’intera Napoli metropolitana. Ai tempi dei provini venne a lungo respinto perché, pur essendo riconosciuto da tutti come molto capace, era e quello non è un difetto dal quale si possa guarire, occorreva scavalcarlo di getto, rendersi indispensabile malgrado i pochi centimetri. Sta andando allo stesso modo con i discorsi sull’essere un «giocatore di sistema» piuttosto che un campione. Otto minuti al Bernabeu e Lorenzo mostra il cuoricino ai suoi tifosi. Al Parco dei Principi ce ne mette qualcuno in più, 29, ma comunque anche al Psg (e al vecchio amico Verratti) segna il gol dell’1-0 al debutto in quello stadio. Se il calcio fosse un fumetto, e non è detto che non lo sia, Insigne sarebbe un perfetto vendicatore. Anche perché, a parte qualche chiacchiera chissà quanto fondata ai tempi in cui settori del San Paolo gli rimproveravano una scarsa confidenza con il gol, non è mai stato coinvolto in discorsi di mercato. E quindi Insigne ha tutto per entrare a far parte del club più esclusivo del nostro calcio, quello che ha concesso tessere d’iscrizione a pochi campioni: Totti, Maldini, Del Piero, Riva, Antognoni, Bergomi... Non saranno certo le due stagioni passate in provincia a farsi le ossa, o meglio i gradoni visto che in entrambe le occasioni c’era Zeman, a impedirgli di essere considerato una bandiera se di qui al ritiro continuerà a giocare nel Napoli.
Gli anni difficili con Benitez
Tra l’altro all’alba dei 27 anni la sua evoluzione tecnica continua a essere sicura e in qualche modo geometrica. Quando Lorenzo torna da Pescara trova ad attenderlo Walter Mazzarri, che gli concede spazi più che discreti da seconda punta: in pratica si alterna con Pandev nel ruolo di spalla di Cavani. Le cifre messe assieme in provincia sono drogate dall’effetto Zeman, ma inducono comunque a considerarlo un attaccante almeno di complemento, specie in una squadra che ha appena perduto Lavezzi, emigrato a Parigi. L’arrivo di Benitez cambia tutto, e non in meglio, perché a fronte di un altro importante trasferimento parigino (Cavani) Rafa riempie le caselle dell’attacco con pedine nuove e nobili: Higuain, Callejon, Mertens. Pur di giocare Lorenzo si adegua a coprire l’intera fascia sinistra, suscitando molti dubbi e perfino la protesta di Zeman («Insigne non è un terzino»): mette comunque a frutto le due stagioni migliorando molto dal punto di vista tattico e affinando il destro a giro sul palo lontano che era il marchio di fabbrica del suo primo idolo, Del Piero. Debutta inoltre in Champions trasformando al San Paolo la punizione che finisce di abbattere il Borussia Dortmund, finalista l’anno prima. Per quanto le due stagioni con Benitez non passino invano, è chiaro a tutti che la scelta successiva di De Laurentiis impatterà forte sullo sviluppo di Lorenzo come campione oppure è il sospetto di molti - buon giocatore e niente più. Maurizio Sarri, in questo senso, è una becapace nedizione, perché pur di trovare la collocazione migliore per lui torna indietro dall’esperimento trequartista (tutt’altro che campato in aria, peraltro) per ridisegnare un 4-3-3 molto codificato. È il contesto nel quale Insigne elabora la diagonale di passaggio per Callejon, trovando sempre lo spazio necessario oltre l’ultimo difensore. E, approfittando prima di un centravanti come Higuain e poi dell’invenzione sarriana di Mertens punta agile e letale (oltre tutto smette così di fargli concorrenza), recupera il feeling con il gol.
Con Mancini torna a sperare
L’ultima evoluzione, attaccante centrale del 4-4-2 di Ancelotti, è la summa di tutte le esperienze vissute; una sintesi che gli sta finalmente facendo acquistare credito in azzurro, dopo il flop da seconda punta in Brasile con Prandelli, il limitato apporto alla Nazionale di Conte e il deplorevole ostracismo decretato nei suoi confronti da Ventura. Con Mancini le cose sono cambiate, forse perché il talento riconosce il talento: di certo l’attacco rotante visto in Polonia (lui, Chiesa e Bernardeschi) potenzialmente contiene più futuro di tutto ciò che si è visto davanti dai tempi brevi e ruggenti di Cassano e Balotelli (Euro 2012). La risultante di tutto ciò è che per Lorenzo sia arrivato il tempo di vincere. Recita il dizionario: Insigne = distinto da pregi o meriti eccezionali, degno della più alta considerazione. Ecco.