RIFORMA CONI
Malagò: «Un’occupazione» Giorgetti: «Avanti sereni»
Il giorno della rabbia e dell’orgoglio di Giovanni Malagò. Ma anche quello di una rottura di fatto con il Governo. Incassata la solidarietà dei presidenti federali mercoledì sera nel consiglio informale, il numero 1 del Coni alza il volume. Altro che il corpo a corpo per strappare quella nomina «condivisa», quel trasformare il «sentito il Coni» in «d’intesa con il Coni» su cui si lavorava di fioretto. Malagò vuole ripartire dall’inizio, mette in discussione tutto e affigge il suo manifesto pane al pane e vino al vino: «Questa non è una riforma dello sport italiano – dice riferendosi al testo nella Legge di bilancio – ma un’occupazione del Coni». A porte chiuse, era stato più prudente, stavolta viaggia a tutta, galvanizzato dalle standing ovation che spezzano il suo abbondante discorso, quasi un’ora, al Consiglio nazionale. Che finisce con un comunicato che dà un mandato al presidente per continuare il dialogo con il Governo, su un terreno però sempre più pieno di trappole. A stretto giro, qualche minuto dopo la fine della seduta del parlamento «sportivo», arriva la posizione di Palazzo Chigi. I sottosegretari Giorgetti e Valente la firmano congiuntamente per la prima volta: «Si va avanti».
AGENZIA VIAGGI Malagò vuole riscrivere la cronistoria della vicenda, dal momento in cui s’è visto servire a sorpresa il piatto amarissimo della riforma: «Non ne sapevo assolutamente niente». E ancora: «Si capisce benissimo la non conoscenza dell’argomento. Una cosa del genere dovrebbe essere oggetto di una approfondita, che dico, maniacale analisi. Si tratta di una scommessa al buio demandata a persone, magari validissime, che verranno catapultate nel ruolo». Per Malagò il Coni dei 40 milioni, ora ne gestisce più di 400, disegnato della riforma, sarebbe un Coni «agenzia di viaggio o tour operator» che entra in scena solo ogni due anni per andare alle Olimpiadi.
PRIMI E ULTIMI C’è qualche dipendente del Coni che apre la porta: gli sguardi sono preoccupati e solidali verso il presidente che non molla. Malagò plana sui risultati, sulle medaglie che ci vedono «sempre fra i primi in Europa, mentre in altri campi del Paese siamo terzultimi, penultimi, quartultimi... Tutto questo conterà o no? Il problema allora è politico, a voi va bene e a me no. Se poi è invece una questione personale…». Qui sembra essere sul punto di parlare di dimissioni. Dirà poi in tv che non «farà né il notaio né il becchino del Coni». E a «Zapping» su Radio 1: «Se entrerà in vigore nel 2020 mi farò da parte dopo Tokyo. Ma finché c’è vita c’è speranza». Quindi critica anche il nome scelto per la nuova società, «ce ne sono migliaia che si chiamano già Sport e Salute». Come dire: neanche l’originalità.
MENNEA E LA SIMEONI Tutti d’accordo meno uno, Claudio Barbaro, presidente dell’Asi (uno degli enti di promozione) e senatore della Lega, probabile relatore della riforma shock in commissione Bilancio, vota contro. «Parliamo sempre di autonomia, ma il Coni, anche quando c’era il Totocalcio, è stato sempre condizionato dai rapporti con la politica». «Ricordo – risponde Franco Carraro – che in questa sala votammo contro le indicazioni del Governo per il boicottaggio e portammo Mennea e la Simeoni a vincere le Olimpiadi a Mosca». Pescante parla di provvedimento introdotto «di nascosto e proditoriamente». Anche la commissione atleti, con Kelum Pereira e Silvia Salis, legge un documento: «Pronti a scendere in campo per difendere l’autonomia». La stessa posizione dell’olimpionico Michele Maffei.
SPERICOLATO Ci si trasferisce sulla terrazza a due passi dal suo ufficio. Malagò parla di «provvedimento assurdamente violento». Poi nella foga, per dare l’idea di un provvedimento ingiusto e immeritato, s’avventura in una considerazione storicamente spericolata: «Anche il fascismo aveva rispettato la storia del Coni dall’epoca della sua fondazione, pur non essendo elastico nell’acconsentire a tutti di esprimere le proprie opinioni».