La Gazzetta dello Sport

Quei lampi di genio del leader Verratti E che socio Sensi!

●Il regista del Psg: «Ora in Nazionale finalmente mi diverto»

- Andrea Elefante INVIATO A GENK (BELGIO)

Ci sono notti da vivere fino in fondo, fino a quando sembra non esserci più niente da spremere, da guadagnare, da capire, e invece qualcosa c’è. Sono le notti, nel calcio, in cui chi ha una missione dentro non guarda il cronometro per capire quanto tempo manca, ma per calcolare quanto tempo ha ancora per dare un senso al tutto. Marco Verratti aveva una missione, ieri sera: confermars­i il nuovo leader di questa squadra in quanto leader della terra di mezzo, quel centrocamp­o che Roberto Mancini ha eletto a manifesto del suo nuovo calcio. E farlo anche senza il nuovo socio in affari, Jorginho, che gli aveva restituito in Nazionale il piacere di giocare il calcio di qualità frequentat­o nel Psg. Questa è la chiave di tutto, forse anche dell’ispirazion­e decisiva per dare il via all’azione del gol di Politano che ha deciso la partita: «Sono sincero - ha detto poi Verratti - non mi sono mai trovato così bene in Nazionale: gioco da anni all’estero ma in questo periodo azzurro mi sono divertito proprio tanto». Senza Jorginho non si è ritrovato orfano, Verratti: perché oltre a Barella gli ha dato una mano Sensi, un altro che è piaciuto. Magari un po’ a sprazzi, ma ragiona rapido come lui, pensa in avanti, come lui può stare davanti alla difesa ma non ama stare ancorato lì davanti, e per questo non ha bisogno di chiedergli di scambiarsi posizione, perché l’idea nasce spontanea, senza bisogno di mettersi d’accordo. Se si aspettava di essere titolare? «Non lo so - dice il centrocamp­ista del Sassuolo - ma sono molto contento della prestazion­e e devo fare i compliment­i alla squadra, è mancata solo un po’ di cattiveria in più sotto porta». L’Italia sembra aver trovato il vice Jorginho: «Sì, abbiamo lo stesso ruolo ma lui è già un grande giocatore, io devo solo farmi trovare sempre pronto».

CENTROCAMP­O TASCABILE Un leader non smette mai di giocare prima del tempo: se avesse smesso di accompagna­re gli altri Verratti, forse quell’ultimo pallone non gli sarebbe transitato fra i piedi quando la partita non sembrava più avere niente da dire. Quando eravamo rassegnati a parlare di un film già visto, di quelli che è scomodo già solo il risedersi davanti allo schermo. Un possesso palla insistente, ma anche più leggibile rispetto alle ultime due occasioni, affidato al centrocamp­o forse più tascabile (in tre una media di un metro e settanta scarso) della storia recente della Nazionale. Un continuo ricomincia­re a tessere idee, traiettori­e, dialoghi, ma ancora una volta senza il ricamo definitivo. Occasioni da gol rimaste occasioni, ancora: Chiesa, Bonucci, Berardi, Verratti, Grifo, un rosario di chance buttate da Lasagna. La porta degli Stati Uniti tabù come quella del Portogallo, tentativi rimasti idee spezzate: dall’imprecisio­ne, dalla precipitaz­ione che forse ormai è ansia da gol, e pure da Horvath che ci ha messo molto di suo.

PRIMA L’ITALIA Ma Verratti era ancora in partita: lui e il suo sangue freddo di intuire l’azione che avrebbe potuto spalancare la porta a Politano. «Il calcio è cosi - dice ancora Verratti l’importante è creare occasioni, poi spesso è anche questione di fortuna. Ma la cosa più importante è la prestazion­e, quella viene prima di tutto: merito nostro, ma anche di Mancini, che ha saputo dare a tutti una mentalità positiva. La cosa che ci rende felici stasera è che non abbiamo cambiato il modo di giocare, fino alla fine. E abbiamo trovato il gol, finalmente».

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1’-15’Stefano Sensi, 23 anni, e Marco Verratti, 26, a centrocamp­o AP

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