La Gazzetta dello Sport

Calabresi ora va in scena «Niente film, solo calcio»

●Il difensore è figlio dell’attore Paolo: «Recitai in Boris. Divertente, ma penso solo al pallone. Bologna è l’ideale, mi iscriverò all’Università»

- Matteo Dalla Vite INVIATO A CASTELDEBO­LE

Figlio della… Iena, mini-attore in Boris, suo padre è il famoso Paolo, eccetera eccetera. Ritornelli. Tiritere. Daje e aridaje. Ma chiamarlo Arturo Calabresi no? Perché oltre al babbo c’è molto di più in questo difensore che presto si iscriverà all’Università

(«Per scoprire altre cose»), che indossa il 33 per la fede in Dio, un tipo imbevuto nell’equilibrio e che ha trovato il suo Oscar a Bologna. Poi sì, c’è papà Paolo, una star. «Se mi dà fastidio essere accostato sempre a lui? Noo.

Anche perché ora qualcuno gli dice “Lei è il padre di Arturo vero...?”».

Lei è cresciuto a pane e Roma e ha esordito in A in Bologna-Roma: il destino è una cosa seria.

«Quel pomeriggio Inzaghi non mi disse nulla. Parlò dandomi la maglia ed emotivamen­te poteva essere tanto imbattermi nella realtà che mi ha cresciuto e quasi scaricato. Giocai concentrat­o e senza pensare a ripercussi­oni. Vincemmo».

Quella notte suo padre dormì?

«Non so, io benissimo. Da uno a dieci, lui è tifoso venti della Roma, mi portava all’Olimpico, vidi con gli occhi del bimbo l’ultimo scudetto, poi con gli anni mi sono distaccato: se vuoi essere un profession­ista o ti stacchi o ti crei dei limiti».

Dire che la Roma non ha creduto in lei è eccessivo?

«Ho girato molto in prestito: Livorno, Brescia, La Spezia e Foggia ma nonostante mi abbia sempre supportato, nelle giovanili e dopo, la Roma non è mai arrivata al punto. Aprendomi però la finestraBo­logna, opportunit­à bellissima che ho approcciat­o senza tante pippe mentali ma con la sola idea di farmi conoscere».

Non ha più lasciato la maglia da titolare: la Roma si pentirà?

«Deve chiederlo a loro. Se sono sempre stato difensore? No, ero una mezzala. Adoravo Gerrard. Giocavo nella Cisco, una stagione segnai 10-12 reti e mi prese la Roma. Nel 2011 entro nel vivaio gialloross­o, gioco due partite da mezzala e poi l’allora tecnico Mattioli mi mette in tribuna. “Se poi mi servirà un difensore centrale giocherai”. Successe due-tre volte ma mi chiedevo il perché. Poi arrivò Tovalieri che in un mese mi portò sotto-età negli Allievi: da difensore. E così papà De Rossi in Primavera».

Ecco: il suo idolo è Daniele De Rossi e non Totti. Inconsueto.

«Ho vissuto entrambi, hanno un modo di essere leader in maniera diversa, caratteria­lmente mi sento più vicino a De Rossi pur stimando Francesco. Al mio primo gol in A, al Torino, Daniele mi ha mandato un bellissimo messaggio».

Il tecnico che le ha dato di più?

«Cagni: l’ho avuto a Brescia, mi ha iniziato alla difesa a tre e toccato le corde giuste. Persona fantastica. Anche Gallo a La Spezia mi ha dato qualcosa: non mi faceva giocare. Scatenando fame di rivincita».

Ha pensato di fare l’attore?

«No, mai. E’ vero che recitai con papà nella serie “Boris”, fu molto divertente ma anche fine a se stesso perché il mio cuore era indirizzat­o solo al calcio. Senta questa: giocavo nel Football Club e Alfonso Giovannini fu il primo a dirmi che ce l’avrei potuta fare. Un giorno mi vede un po’ stranito e dice. “Ti sei fidanzato?”. E io: sì, perché? “Ti sei preso una bella sveglia” sottintend­endo una cotta. Io arrossisco e lui aggiunge. “Mollala: pensa al calcio”. Mollata».

Il Bologna riuscirà a mollare gli ormeggi della bassa classifica?

«Serve continuità nei giusti atteggiame­nti: battere la Fiorentina ci darebbe una forza diversa. Sarebbero più di tre punti».

Surreale o no, giochiamo. Scelga: meglio vincere uno scudetto col Bologna o vedere suo padre che conquista l’Oscar?

«Vabbé, non mi parlerà per una settimana: lo scudetto».

PALLONE&SOGNI «Ero una mezzala, facevo sempre gol. Per il calcio mollai una fidanzatin­a...»

«Scudetto a Bologna o Oscar a papà? Non mi parlerà, ma scelgo il primo...»

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GETTY Arturo Calabresi, 22 anni, alla sua prima stagione nel Bologna

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