SFIDARE GLI ALL BLACKS, CHE FORTUNA PER CHI AMA IL RUGBY
La testimonianza dell’ex azzurro in vista del test match con la mitica Nuova Zelanda
Giocare contro gli All Blacks significa affrontare il rugby nella sua essenza. Al di là che vinca o perda, la Nuova Zelanda innova il gioco, mette le basi per lo sviluppo del regolamento. Il loro rugby è limpido nella sua massima espressione tecnica e fisica. Ogni giocatore, oltre ad avere una competenza enorme, porta nel ruolo la sua personalità. Vincono anche per questo motivo.
Giocare contro gli All Blacks è un’opportunità. Non tutti sono pronti per essere schierati. Averli sfidati è un vanto, ma solo se si è giocata una partita coerente. A me è capitato sette volte, senza mai batterli. Ricordo che per la prima, a Hamilton nel 2002, giocai con pantaloncini di due taglie più grandi. Nel primo allenamento mi ero fatto male là dove non lo auguro a nessuno, poi avevo recuperato ma per proteggermi mi ero infilato conchiglia, costume, scaldamuscoli e calzoncini. Nel 2004 a Roma segnai la sola meta dell’Italia: palla raccolta da Peens, Nitoglia che sbilancia Rokocoko con un dentro-fuori e io che vado oltre la linea. C’ero anche nel 2009 a Milano, nella partita dei 12 minuti di mischie a 5 metri dalla loro meta. Oggi parlo spesso di quell’episodio negli speech per le aziende, per spiegare come col pensiero si possa mettere in difficoltà chi sulla carta è più forte. Di fronte a un’Italia lontana nel ranking, gli All Blacks andarono in difficoltà. Se non venne data una meta tecnica fu solo per una certa sudditanza.
Per l’Italia, la partita di sabato arriva dopo una serie difficile. Siamo in fase di ricostruzione, stiamo cercando un equilibrio. Non sarà facile, è ovvio. E credo che ogni performance positiva dei nostri sia un regalo al movimento, non qualcosa di dovuto.