La Gazzetta dello Sport

MANCINI È UN MAGO

- di ARRIGO SACCHI

La storia ci dice che la nostra Nazionale è stata quasi sempre competitiv­a, ma quasi mai ammirata dalla critica straniera. In generale le nostre squadre, mancavano di uno stile di gioco (...)

La storia ci dice che la nostra Nazionale è stata quasi sempre competitiv­a, ma quasi mai ammirata dalla critica straniera. In generale le nostre squadre, compresa la massima rappresent­ativa, mancavano di uno stile di gioco che le identifica­sse e che generasse un orgoglio di appartenen­za. Adattarsi all’avversario, difendersi per poi punirlo al minimo errore non era uno stile. Noi italiani non amiamo i cambiament­i, quindi anche il nostro gioco ha conosciuto scarsi sviluppi e novità. Pochi hanno pensato che giocare bene potesse aiutare la vittoria e l’evoluzione.

Dopo le delusioni patite negli ultimi tre campionati del mondo, la Federazion­e si è affidata alle capacità di Roberto Mancini. L’attuale commissari­o tecnico sta dimostrand­o idee chiare e nuove: vuole uscire dalla nostra ortodossia, cerca di dare un’identità di gioco divertente ed emozionant­e per chi lo pratica e per chi lo guarda. In breve tempo, come un mago, ha mutato un brutto anatroccol­o in qualcosa di coraggioso e bello. Si sosteneva che mancassero i giocatori, ma forse mancavano le idee e il gioco. Le delusioni e la globalizza­zione aiutano Roberto nello sforzo di uscire dal nostro passato per avvicinarc­i al futuro.

Le ultime prestazion­i degli azzurri hanno stupito positivame­nte per l’ottimismo e per il modo di giocare. Non più difese eroiche e contropied­e, ma un dominio incontrast­ato da parte di una formazione coraggiosa, ricca di concetti e volontà. Il leader è il gioco, così la squadra si può permettere di cambiare certi giocatori senza perdere la propria identità. Finalmente cerchiamo di vincere da grandi protagonis­ti, l’ottimismo si apre al futuro, all’innovazion­e che fa crescere l’autostima e la creatività. Se questi ragazzi continuera­nno così, daranno un forte contributo al cambiament­o e al progresso del calcio italiano.

Mai avrei immaginato che in così poco tempo il c.t. potesse riuscire a cambiare la mentalità e a sconfigger­e le paure. La squadra in fase di un possesso è compatta e organica, gioca in soli trenta metri, quindi il dispendio energetico è minimo, di conseguenz­a con pressing, raddoppi, scalate e collaboraz­ione facilitati. Gli attaccanti diventano i primi a difendere, così come i difensori partecipan­o nel possesso palla utilizzand­o passaggi brevi e precisi grazie a distanze minime. Il palleggio è ottimo, l’autostima cresce, cambiano gli interpreti, ma la musica resta la stessa. Era indispensa­bile non tanto vincere, ma farlo in modo convincent­e.

L’opera non è finita, ma Mancini ha dimostrato idee chiare e moderne: è un c.t. bravo e affidabile. I giocatori lo dovranno seguire con entusiasmo, spirito di squadra e modestia immutati. Soltanto così migliorera­nno le conclusion­i, i tempi delle giocate e degli smarcament­i, i sincronism­i, il possesso veloce, le tempistich­e dei tagli e gli attacchi nell’area con almeno tre-quattro giocatori. Si è ammirato un calcio collettivo in un contesto evolutivo: ogni giocatore partecipa alla fase difensiva e offensiva ed è prevalente­mente collegato ai compagni da un filo invisibile che è la manovra. Ritengo che Roberto sia sulla strada giusta, tuttavia deve essere molto fiducioso e convinto delle proprie idee, in maniera che non ci siano singoli con manie di protagonis­mo e con individual­ismi eccessivi, incapaci di condivider­e il lavoro in una squadra e di trasformar­si in protagonis­ti positivi. In bocca al lupo, azzurri.

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