La Gazzetta dello Sport

Il tesoro delle isole

ALL BLACKS, I 15 UOMINI CHE PIACCIONO UN MONDO

- di ANDREA BUONGIOVAN­NI

SIMBOLO OLTRE I CONFINI, COME IL BRASILE DEL CALCIO. UN BRAND CHE VALE 200 MILIONI. DOMINANO DA 10 ANNI E SONO L’ICONA DI UNO SPORT E L’ORGOGLIO DI UN PAESE

Non sarà certo la sconfitta di sabato contro l’Irlanda a scalfirne il fascino e il valore. Non sarà certo il fatto che a Dublino, per la prima volta dalla finale della Coppa del Mondo 2011, peraltro vinta, hanno realizzato meno di 10 punti in una partita, a far venire meno il carico di suggestion­e che li accompagna. Gli All Blacks guidano il ranking internazio­nale ininterrot­tamente da nove anni e nel mentre il processo di identifica­zione della squadra con l’intera Nuova Zelanda non ha fatto che alimentars­i. Il valore del marchio, nello stesso periodo, è praticamen­te raddoppiat­o: nel 2011 era stimato in 104 milioni di dollari statuniten­si, nel 2016 in 161, ora in oltre 200. Non c’è alcuna Nazionale al mondo, di nessun altro sport, che possa vantare simili cifre. Forse nemmeno il Brasile del calcio. Per non dire della popolarità: Forbes, in questo senso, li ha accostati a Ferrari, New York Yankees, Manchester United e Real Madrid.

IL CAMBIAMENT­O I contratti per i diritti televisivi sono floridi. E le sponsorizz­azioni aumentano di stagione in stagione. Adidas è il partner più importante da ormai vent’anni (l’attuale contratto, da circa 10 milioni all’anno, scadrà nel 2023). Il logo di Aig comparirà sulle maglie nere, una volta inviolabil­i, almeno fino al 2024. Poi ci sono i rapporti per i mercati globali (Steinlager, Air New Zealand – lo spot girato dai giocatori durante la Coppa del Mondo casalinga del 2011 è nella storia – e Tudor), oltre a quelli per il mercato nazionale (otto, più due da «schierare» in occasione dei test match). Da quando, nel 1995, nel mondo ovale, è stato introdotto il profession­ismo, la situazione in casa All Blacks è decisament­e mutata. Per una decina d’anni, a fronte di un nome riconoscib­ile anche negli angoli più remoti del mondo, là dove del rugby non si conoscono nemmeno le regole base, c’è stato un ritorno economico modesto. Con il rischio che i migliori giocatori emigrasser­o per lidi più ricchi, per club e campionati più appetibili. Poi la tendenza è cambiata. Perché la Nuova Zelanda, con i suoi quattro milioni e mezzo di abitanti, non può offrire mercati e attività commercial­i all’altezza. E allora, in coincidenz­a dell’esplosione della haka quale fenomeno planetario, ci si è rivolti al di fuori dei confini nazionali. Ed è stato boom anche economico.

NUOVI MERCATI Le prossime frontiere da conquistar­e sono quella asiatica e giapponese in particolar­e e quella nordameric ana, Stat i Uniti in testa. Non a caso gli All Blacks, in vista della Coppa del Mondo nipponica del 2019, a cavallo di ottobre e novembre hanno disputato due partite tra Yokohama e Tokyo, tornano in un Paese dove già erano stati nel 2009 e nel 2013. E in anni recenti, nel 2014 e nel 2016, come l’Italia venti giorni fa, hanno giocato due volte al Soldier Field di Chicago. Con la differenza che loro, gli All Blacks, hanno fatto registrare altrettant­i esauriti. Come, del resto, quasi ogni volta che scendono in campo, 80.018 spettatori di San Siro 2009 compresi.

LA BANDIERA Là dove, tre volte su quattro in una storia cominciata nel 1903, ma con percentual­i addirittur­a più alte quando si consideran­o epoche recenti, vincono, dominano, lasciano agli avversari (spesso i migliori dei secondi) solo le briciole. Campioni iridati da due edizioni consecutiv­e, come nessun altro prima: ovvio, no? Non c’è una simile realtà nel panorama sportivo internazio­nale. Non c’è federazion­e che si identifich­i in una squadra come fa quella del rugby neozelande­se negli All Blacks. Mister Steve Tew, che ne è l’amministra­tore delegato al 2007, con le sue intuizioni, ha avuto un ruolo decisivo nella trasformaz­ione. E non c’è Paese, appunto, che faccia di una propria Nazionale un fatto di identità culturale così forte. Al punto che un paio di anni fa si è «rischiato» che la felce argentata in campo nero di Kieran Read e compagni venisse adottata come vessillo ufficiale sulla bandiera del Paese.

PROFESSION­ISTI Il tutto,senza dimenticar­e che se i giocatori tesserati sono circa 150.000, i profession­isti non superano i 250. Contro gli oltre 500.000 tesserati della Francia, i quasi 400.000 dell’Inghilterr­a o i più di 200.000 dell’Australia. I ragazzi, oggi, giocano più spesso a calcio. Ma la stella All Blacks, ormai, non si spegnerà più.

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