L’oro del Boca Bombonera piena e il mito è Tevez
●Ieri allenamento con 50.000 tifosi, quasi il doppio in strada E Tevez carica gli Xeneizes
Invasione di tifosi per vedere l’allenamento prima del River
La Glorieta de Quique non è un bar come gli altri. I panini sono buoni, la carne è ottima, ma non è il cibo la ragione sociale del locale. Quique era il capo della «barra brava», gli ultrà del Boca e un giorno aprì questo posto esattamente di fronte alla «Puerta 3» della Bombonera: bandiere, foto, l’ambiente è degno della Doce, la leggendaria e famigerata curva gialloblù. Ieri la Glorieta era sempre piena e forse ha battuto il record di panini serviti: merito dell’allenamento che il club ha voluto aprire alla sua gente. La Bombonera, quasi 50.000 spettatori di capienza, era stracolma, per non correre il rischio di restare fuori alcuni tifosi hanno bivaccato allo stadio dalle 5 del mattino. Non sappiamo dire quanta gente abbia riempito le strade del quartiere, erano probabilmente il doppio della capienza della Bombonera. Le file erano interminabili, giravi l’angolo e all’orizzonte scorgevi solo magliette del Boca.
GRANDE FAMIGLIA Una giovane mamma all’improvviso si è seduta per terra e ha allattato il suo bambino: nessuna vergogna, quella intorno a lei era la sua famiglia allargata. Molte persone sono scese in strada ben sapendo che mai sarebbero entrati alla Bombonera. Ma la loro voce, quella sì che è arrivata allo stadio e dentro il cuore dei giocatori. Il canto si propaga, ogni coro assorbe le voci di chi è più lontano e le trascina avanti, così tutti riescono in qualche modo a partecipare alla festa. A esserci. È la sublimazione del concetto di senso di appartenenza. Ieri il River si è chiuso in ritiro a quasi 60 chilometri dal Monumental, mentre il Boca si è aperto all’amore della sua gente: due modi diversi di preparare la finale, ma per il club di Carlitos Tevez, che si ciba della passione popolare, non poteva che essere così. Proprio Carlitos, «el jugador del pueblo», è stato tra i più acclamati all’ingresso in campo quando il frastuono generato da tamburi, trombette e voci era ai limiti della sopportazione umana. Un invasore è stato prontamente placcato, ma Tevez ha risolto il problema andando ad abbracciarlo, portandolo dai compagni e regalandogli la maglietta.
ANSIA, SPERANZA, PAURA L’apertura della Bombonera era programmata per le 16, ora di Buenos Aires, e l’allenamento per le 18. «Faremo entrare tutti finché ci sarà un posto libero», avevano detto i dirigenti. Già alle 15 i cancelli sono stati spalancati, la Doce si è riempita in pochi minuti e poi via via gli altri settori. Il servizio d’ordine era presente ma discreto, c’erano un paio di zone di prefiltraggio in tutte le strade che portano allo stadio. Era stata vietata la vendita di alcolici nelle vicinanze della Bombonera e quindi anche alla Glorieta le birre sono rimaste chiuse nel frigo. Ma la mancanza di alcol non ha tolto brillantezza alle discussioni. Tra le numerose esagerazioni che abbiamo sentito ce n’è una che le batte tutte: «Rinuncereste ai due Mondiali vinti dall’Argentina per vincere questa Libertadores?». Durante il pranzo un tifoso ha fatto la domanda e i suoi quattro commensali hanno risposto senza esitare un «sì» talmente accorato da rendere fin troppo chiara la situazione. Un monosillabo basta a raccontare la tensione, l’ambizione, la paura, l’ansia, la voglia di vincere. Lo stato d’animo dei tifosi del Boca è come la tavolozza del pittore: al posto dei colori ci sono tutte le gradazioni della felicità e della disperazione, domani vedremo quale prevarrà.
IL MITO Scendendo da Nuñez alla Boca, Buenos Aires ci ha offerto tutta la sua bellezza e le sue problematicità. Tra i due stadi ci sono meno di 15 chilometri, ma il traffico era congestionato perché una manifestazione aveva bloccato l’arteria principale (Avenida 9 de Julio) facendo confluire le macchine nelle strade parallele: un runner discretamente allenato avrebbe avuto buone possibilità di battere un’auto nel tragitto Monumental-Bombonera. Il sole del mattino, poi, aveva lasciato spazio al temporale pomeridiano, così tutto si era rallentato e il popolo del Boca si era bagnato. Ma qui nessuno si preoccupa per così poco e la giornata di ieri non verrà dimenticata. Grazie a momenti come questo si alimenta il mito del Boca che fa sognare tantissimi calciofili in giro per il mondo fin dagli albori e dal racconto dei colori scelti in base alla bandiera della nave svedese che approdò proprio al momento della fatidica decisione. In un porto le storie nascono a ciclo continuo e all’inizio del Novecento la tradizione orale si faceva preferire.
CAMINITO Pare che non ci sia mai stata certezza assoluta sul risultato della prima partita e l’ultimo depositario del segreto, il barbiere che lavorava a pochi passi dalla Bombonera, se ne è andato nel 2003: da lassù si godrà la finale di domani. Il Boca, ovviamente, non è solo la squadra del barrio, ma è difficile trovare un’identificazione più profonda tra un club e il pezzo di terra in cui è nato. Il Caminito, la stradina colorata nel quartiere de La Boca, è pieno di turisti di giorno, ma quando il sole tramonta restano solo i ragazzi per i quali il Boca è una delle poche ragioni di vita. Non è solo questione di Stato sociale e non è vero (non più, per lo meno) che il River sia la squadra dei ricchi e il Boca quella dei poveri. È vero, però, che non potrebbe esistere un Boca lontano dal suo barrio mentre il River non ha una localizzazione così forte. E mentre «millonarios» è un soprannome che pone l’accento solo sulla ricchezza del mondo River, la definizione di «xeneizes» (genovesi, perché nel primo Novecento quella era la lingua che si parlava nella zona del porto) rispecchia proprio il rapporto stretto tra il Boca e il quartiere che ha imparato a sorridere comunque e a godere delle piccole cose belle della vita. La danza, il pallone: mentre nel Caminito si balla il tango, le porte della Bombonera si aprono. Tutti non ci possono stare, ma chi resta fuori è dentro comunque.