SPORT E INCIVILTÀ INACCETTABILE RESA
Gli stadi di calcio sono oramai luoghi di sfogo e inciviltà, dove sono permessi volgarità e gesti indecenti. Un vero porto franco di bassezze. Anche i più piccoli assistono, ascoltando ogni sorta di imprecazione condita da epiteti squallidi e di insulti per tutti. E vengono coinvolti in una sorte di compiacimento generale. In un occasione degli episodi più recenti, da Mourinho ad Ancelotti fino a Bonucci, nessuno ha fatto appello di finirla. La logica è che allo stadio si può insultare chiunque. Si reagisca almeno per i ragazzi, che purtroppo crescono in questa miseria. Mi piacerebbe che tutto il movimento si mobilitasse contro lo schifo dominante e che gli addetti ai lavori si comportassero decentemente; altrimenti fra qualche anno vedremo il pollice verso come durante nell’impero romano. Mimmo Zannetti
Vedo un unico dato positivo: sta crescendo il numero di protagonisti insofferenti di fronte a questo andazzo. L’invito di Ancelotti di sospendere partite che diventano cascate di insulti è stato raccolto da Conte, Mancini e per ultimo da Sarri. Non a caso tutti professionisti che hanno sperimentato direttamente quanto l’ambiente italiano è lontano, in questi comportamenti, dal resto d’Europa e del mondo. Non certo per attribuire alibi o annacquare responsabilità, ma non si può fare a meno di constatare che l’intero sistema sociale Italia, in ogni ambiente, è sempre più calato nella litigiosità di fazione. Il rancore verso il diverso o semplicemente il portatore di opinioni differenti è elevato a modo comune di relazionarsi. Le colpe sono tutte e ferocemente di «altri», che bisogna distruggere. Per stratificate ragioni storiche in questo Paese soffriamo di un deficit di senso civico che è più grave ancora del debito pubblico: ora assistiamo ad un ulteriore scivolamento verso il basso.
In questo contesto difficile, lo sport e il calcio dovrebbero rivendicare una particolare missione di avanguardia. O perlomeno dovrebbero sentirla. In questo senso la proposta dei tecnici è purtroppo una fuga in avanti di applicabilità vicina allo zero: chi decide quando la misura è colma? Oltre alla Var dobbiamo dotare gli stadi di «insultometri», che peraltro non sono ancora stati inventati? Non parliamo poi del potere reale dato in mano alle legioni di mascalzoni, in grado di far sospendere le partite soltanto modulando le invettive.
E allora? C’è molto altro che si può fare, e a costi zero, di cui in Italia non si parla mai, salvo iniziative benemerite ma purtroppo isolate. Per esempio pretendere dai giocatori un atteggiamento di rottura rispetto alle genuflessioni del passato: i tifosi cui riferirsi sono in tutte le zone dello stadio, non solo in quella curva. Le società, poi: tuttora avete mai sentito comunicati di disapprovazione dei comportamenti più beceri del loro pubblico? Gli altoparlanti degli stadi servono solo a organizzare esultanza ai nomi della formazione di casa. Istituzioni sportive? Silenzio assordante sul tema: l’inciviltà media dei nostri stadi e la paurosa incultura sportiva che la determina sono accolte con rassegnazione codarda. La politica? Mai vista e sentita un’intenzione vera di modificare e di incidere sul ciclo dei rifiuti morali nella fruizione dello sport in Italia. La scuola? Da anni auspichiamo un’educazione al tifo generalizzata, come base di quella civica: lettera morta. Per non parlare di noi genitori, aggrappati alle recinzioni di campetti di periferia, con la bava alla bocca per insultare l’arbitro o l’avversario di turno dei nostri figli, che intossichiamo ad ogni vaffa. Al primo che comincerà davvero e nei fatti a ribellarsi a questa schiavitù, dovremo consegnare le chiavi del nostro Paese.