La Gazzetta dello Sport

GLI ARBITRI, LA VAR E LE MEZZE RISPOSTE

La moviola in campo e dintorni

- Di ROBERTO BECCANTINI

Per Milan Kundera, lo scrittore ceco dell’insostenib­ile leggerezza dell’essere, «la stupidità della gente deriva dall’avere una risposta per tutto. La saggezza del romanzo deriva dall’avere una domanda per tutto». Se parliamo però di arbitri e, in particolar­e, del loro designator­e - qualche risposta in più non guasterebb­e. Ecco perché ho trovato deludente il «catenaccio» di Rizzoli al recente confronto con gli allenatori. Fino all’irruzione della tv, arbitrare assomiglia­va davvero a scrivere un racconto, e se il protagonis­ta «esagerava» con talento, ne venivamo trascinati, non travolti. Il Lo Bello del secolo scorso ne incarnava la teatralità e lo stile. Non v’è dubbio che i cambi di regolament­o abbiano contribuit­o a fissare il trasloco del potere dai difensori agli attaccanti - passaggio cruciale - come certifica la ricorrenza del drammatico scontro tra Martina e Antognoni in Fiorentina-Genoa 3-2 del 22 novembre 1981. L’impatto, violento e pericoloso, ebbe luogo in piena area. Prigionier­o dello spirito del tempo, che privilegia­va la casualità, Casarin non prese provvedime­nti. Oggi, avrebbe assegnato il rigore ed espulso il portiere.

E il mani-comio? L’argomento era e rimane così delicato, così attuale che mi sarei aspettato un Rizzoli meno vago, più tranciante. Se il nodo del fuorigioco è stato tagliato dalle forbici della tecnologia, i falli di mano restano taniche di benzina: con il cerino del «volume», della «colpa», della «distanza» perennemen­te sospeso sul caposaldo della volontarie­tàinvolont­arietà che ispirò il dettato dei padri fondatori. Sull’episodio che ha coinvolto Benatia e Higuain nell’ultima edizione di Milan-Juve, al netto del rigore sfuggito a Mazzoleni e recuperato dalla «moviola», è stato possibile leggere di tutto. In ordine sparso: per Rizzoli, «situazione soggettiva»; per Marelli, ex arbitro che pilota un blog affollatis­simo, la sanzione adeguata sarebbe stata il rosso diretto; su «Tuttosport», il virgoletta­to è di Cesari, sarebbe bastato un giallo (il secondo); né rosso né giallo, viceversa, per l’ex designator­e Casarin, dal momento che il tocco maldestro di Higuain aveva declassato l’occasione da «chiara» o «promettent­e» a normale ingorgo. Nel Paese dei polpastrel­li è difficile barcamenar­si tra i casi che possono fare tendenza e le tendenze che possono diventare casi. A Rizzoli, proprio da queste colonne il 15 febbraio, addirittur­a - avevo chiesto lumi sul «doppio binario» di Valeri. Nel dettaglio: «Il 30 gennaio, in Atalanta-Juve di Coppa Italia, braccio di Benatia e rigore via-Var. L’11 febbraio, in Inter-Bologna di campionato, braccio di D’Ambrosio e niente rigore via-Var. Eppure: stesso arbitro, stesso episodio, stessa procedura, stessa distanza». Quale era stata la scelta corretta?

In Croazia-Spagna 3-2 del 15 novembre, Vrsaljko ha prima «parato» un tiro e subito dopo, sempre di gomito, smorzato un cross. Rigore, naturalmen­te: ma zero cartellini. Giusto? Sbagliato? Lo «sceriffo» era bielorusso: Kulbakov. La Var può molto, non tutto. A volte risolve (le controvers­ie «geografich­e», specialmen­te), a volte decide (come nelle «chiamate» di Roma-Samp, lasciando margini al dibattito). Però si sono arresi persino gli inglesi e l’Uefa sta per farlo. Urge semplifica­re le norme, cassare gli aggettivi ambigui, multare gli eccessi di discrezion­alità. Non è poco.

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