La Gazzetta dello Sport

Da Twitter al ring La rivalità virtuale ora vale un Mondiale

1Stanotte il titolo dei massimi Wbc dopo i colpi proibiti sul web. Sfida Usa-Gran Bretagna e Joshua all’orizzonte

- Massimo Lopes Pegna CORRISPOND­ENTE DA NEW YORK SPERO UN GIORNO DI POTER AVERE UN MORTO NEL MIO RECORD DEONTAY WILDER E LE PAROLE ESAGERATE

Per diversi anni se le sono date di santa ragione su Twitter, Deontay Wilder e Tyson Fury: messaggi zeppi di insulti, in attesa del regolament­o di conti. Stanotte dentro allo Staples Center di Los Angeles, l’abituale palcosceni­co di Lakers e Clippers (Nba), dalle parolacce finalmente passeranno ai fatti. Sul piatto c’è il titolo dei massimi (Wbc) dell’americano dell’Alabama, Wilder. Sarà un’altra sfida fra Usa e Inghilterr­a per una fetta di trono della categoria più rinomata del pugilato. Nel Regno Unito sostengono addirittur­a che, per audacia, questo match potrebbe ricordare la sfida (la seconda, quella del ’96) fra il malcapitat­o Frank Bruno (che comunque era il campione) e Mike Tyson, che nell’occasione lo fece a fette (al 3° round) e riconquist­ò la corona dei massimi dopo il tonfo con Buster Douglas del ’90 e la galera. Ora la categoria (è detentore di tre sigle, Wba, Ibf e Wbo) è saldamente nelle mani dell’altro inglese Anthony Joshua, ancora imbattuto e 8° cittadino di sua Maestà ad avere in testa la prestigios­a corona.

FACCIA A FACCIA I venti di nazionalis­mo non sono arrivati fino al tepore delle spiagge di L.A. La rivalità va ben oltre. Di fronte ci sono due colossi di oltre due metri (Wilder 2,01m, Fury 2,06) tutti e due con il record immacolato e dunque, davanti all’onta della prima possibile sconfitta. E poi, come spesso accade in questo sport, nelle vite private di entrambi ci sono un mucchio di problemi. Quelli di Wilder risalgono a tredici anni fa, quando appena ventenne sognava di giocare a football per il celebre college di Alabama vicino a casa e di intraprend­ere una carriera nella Nfl. Invece diventò padre di Naieya, nata con la spina bifida e bisognosa di assistenza, e dovette ripiegare sulla boxe. Dissero subito che se la cavava bene, andò all’Olimpiade di Pechino ’08 e vinse un bronzo (cadde in semifinale con il nostro Clemente Russo, l’ultimo a batterlo). Si auto-soprannomi­nò «Bronze Bomber» (ispirato dal mito Joe Louis che era il «Brown Bomber») e da allora non ha mai più perso. Anzi, 39 delle 40 vittorie le ha ottenute per k.o. (19 nel primo round), però ha steso tutti i suoi 39 rivali. Perché Bermane Stiverne, l’unico ad avergli resistito in piedi nel 2015, era poi stato regolarmen­te asfaltato un anno fa in un’improbabil­e rivincita. Ora di figli ne ha sette, Deontay, e quando smette di comportars­i da duro in pubblico, come successo anche alla conferenza stampa di mercoledì in cui si è spintonato con il rivale, sussurra nei microfoni frasi di grande sensibilit­à. Tipo: «Se in futuro la medicina farà un miracolo, mi piacerebbe essere io a portarmi in grembo un figlio. Penso sia un’esperienza straordina­ria. Per questo le donne sono gli esseri più potenti della terra». Peccato per l’uscita spregevole di qualche tempo fa, in cui si augurò di ammazzare qualcuno sul ring: «Spero un giorno di poter avere un morto nel mio record». Si era scusato e aveva spiegato: «Nella boxe, quando metti i guantoni, devi girare l’interrutto­re: da chi sei davvero al più efferato degli assassini. Ma io sono prima di tutto un padre di famiglia, poi anche un pugile».

ECCESSI In quanto a cose sgradevoli, Tyson Fury non è da meno. Nel maggio del 2016 in un video su YouTube dette il peggio di sé: in un colpo si scagliò contro donne, ebrei e omosessual­i. Chiese di essere perdonato, perché già non stava bene. Depression­e. Raccontò: «Mangio, bevo e mi faccio di cocaina: una vita di eccessi. La mia unica attività quotidiana era scegliere il bar dove andare a ubriacarmi». Solo sei mesi prima, ad appena 26 anni, aveva messo fine alla dittatura di Wladimir Klitschko impartendo­gli una lezione di noble art e diventando campione. Era stato travolto troppo in fretta da fama e ric-

chezza. Ha confessato al New York Times: «Volevo salire sulla mia Ferrari e sfondare la spalletta di un ponte a 300 all’ora. Non avevo più voglia di stare a questo mondo». Aveva fallito due test antidoping e per due anni e mezzo non ha più combattuto. Fino al giugno passato: in due mesi, due esami forse troppo semplici prima di riprovare a tornare re. Se fosse quello del 2015, Wilder avrebbe dei problemi. Ma nessuno può sapere in quali condizioni Fury affronterà l’uomo con la dinamite nei pugni. Assicura Tyson, chiamato così dal padre ammiratore di Iron Mike: «Sto bene. Una notte in cui ero disperato, ho pregato e ho chiesto aiuto. Ho capito che la palestra era la cura per guarire».

IL TRAGUARDO Quando nel 2015 Wilder ha vinto il titolo, gli Usa non lo conquistav­ano da nove anni: il più lungo digiuno della loro storia. Ci sono stati 55 campioni dei massimi americani, 8 inglesi. Ma se a Fury riuscirà l’impresa, affronterà il connaziona­le Joshua per l’attesa riunificaz­ione delle cinture: un evento raro che farà impazzire un intero Paese.

ALCOL E COCAINA NEL MIO PASSATO UNA VITA PIENA DI ECCESSI

TYSON FURY SUI SUOI ERRORI

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G 1 La rissa alla conferenza stampa di mercoledì a Los Angeles APG 2 Wilder con la cintura di campione del mondo dei massimi Wbc dopo aver battuto Luis Ortiz lo scorso marzo a New York APG 3 Fury posa per i fotografi: la forma è al top AP

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