La Gazzetta dello Sport

Ramirez: «Insegno la grinta uruguaiana alla Sampdoria»

Ritrova il «suo» Bologna: «Il mio è un Paese piccolo ma senza paura. Ecco perché non partiamo mai battuti»

- Filippo Grimaldi INVIATO A BOGLIASCO (GENOVA)

Gaston Ramirez, lei è la garra charrua della Sampdoria?

«Ci sto provando... Quest’anno ho perso Lucas (Torreira, passato all’Arsenal, n.d.r.). Però, con Barreto (paraguaian­o,

n.d.r.) cerchiamo di trasmetter­e questo messaggio alla squadra: quando in Uruguay usiamo questo termine, intendiamo dire che finché c’è tempo, nulla è deciso, devi sempre provarci, anche se il tuo avversario è più forte. Nel calcio devi andare oltre: soffrire tutti insieme, lasciando la vita sul campo. Con l’Uruguay non è mai finita. Se lei guarda il mio Paese su una carta geografica, è piccolissi­mo rispetto, ad esempio, all’Argentina, ma non conosciamo la paura. Un esempio di squadra simile, in Italia, è la Juventus, dove non credo ci sia un giocatore che ti regala qualcosa. Chiellini ha la garra charrua: è uruguaiano nello spirito, potrebbe giocare nella nostra Nazionale».

Dopo un periodo negativo, la sua Samp ha strappato un punto pesante nel derby, che fra l’altro le porta bene. Il suo primo gol nella Samp l’anno scorso, un assist per Quagliarel­la domenica scorsa. E stasera ritrova il Bologna, dove debuttò al suo arrivo in Europa. Un’occasione importante per accelerare in classifica.

«Contro il Genoa è stato un pari pesante. Nel calcio comandano sempre i risultati, funziona così: se non arrivano, sembra che tutto giri storto. Stiamo preparando bene le partite, facendo di tutto per arrivare al risultato. Il Bologna ha avuto un significat­o importante per me: due anni bellissimi, che mi hanno fatto crescere come calciatore e come persona, anche nei momenti difficili. Al di là della Juve, la classifica è così corta che grazie alla nostra qualità possiamo tornare in alto. Dobbiamo crederci».

Per molti suoi compagni questo gruppo può competere ad alti livelli.

«Concordo, sempre consideran­do però che la nostra rosa è stata rinnovata e dobbiamo quindi crescere come squadra. La qualità, però, c’è. Servono lavoro e pazienza. Sappiamo bene cosa vuole Giampaolo da noi ».

Lei sostiene che la qualità della vita abbia un peso nella profession­e del calciatore. Genova e la Samp rappresent­ano un ambiente ideale in questo senso?

«Sì, assolutame­nte. Anche a livello mentale questa è una città che ti rilassa: io abito sul mare, in un luogo tranquillo (a Pieve Ligure, n.d.r.), i tifosi sono sempre positivi anche nei momenti più difficili, l’ambiente mi ha sempre dato fiducia. Ci sono periodi in cui cali un po’, ma l’importante è mettere tutto quello che puoi dare. Io vivo molto al campo di allenament­o, ben oltre il tempo dell’allenament­o. Il calcio è davanti a ogni altra cosa».

I suoi maestri: prima di Giampaolo, ha avuto Tabarez in nazionale.

«Ho imparato tanto anche con Pochettino (al Southampto­n, nel 2013, n.d.r.) sul piano della tattica e dell’intensità. Tabarez, il Maestro, ci ha fatto capire l’etica del gruppo, come deve funzionare una squadra. Con Giampaolo ho visto il calcio in una nuova dimensione: con lui sai esattament­e il tuo compito in campo. Sempre».

Tabarez, affetto dalla sindrome di Guillain Barré, all’ultimo Mondiale in panchina si sorreggeva a un bastone: è il simbolo del coraggio e della lotta alla malattia. Ma adesso anche Vialli ha raccontato la sua sofferenza e la lotta contro il tumore.

«Ci sono cose difficili da nascondere al mondo. Li reputo entrambi due esempi positivi. Se hai un problema, ti serve qualcuno con cui parlarne. È dura anche soltanto pensare a drammi simili: però credo faccia bene aprirsi al mondo, così come ascoltare certe parole».

Mondiale, Coppa America, Premier League, ora la A: si sente al completame­nto del suo percorso di crescita come calciatore?

«Sono molto ambizioso, cerco di fare tutto al meglio e credo che il lavoro, alla fine, paghi sempre. Adesso sto sfruttando questo momento, spero di rimanere alla Samp a lung»”.

Se le parlo di El Tulipan, cosa le viene in mente?

«È la squadra del mio “barrio”, il mio quartiere: la prima in cui ho giocato a Frey Bentos, il paese dove sono nato. Mi allenava papà, ma ci andavo malvolenti­eri, perché preferivo giocare sempre con i grandi».

Lei è nato quasi sul confine con l’Argentina. Come ha vissuto l’amara vicenda legata al ritorno della Libertador­es fra River Plate e Boca Juniors?

«Non riesco neppure a pensarci, anche se in realtà fatti del genere accadono anche in derby meno importanti in Sudamerica. Ma in un evento prestigios­o come questo, dove hai gli occhi del mondo addosso, con due squadre fra le più grandi del Sudamerica, non è possibile. Io tifo per il Boca, avrei voluto guardare la partita, invece… Che peccato dovere giocare la finale di ritorno fuori dall’Argentina. Ma se venissero a Genova, state certi che andrei a vederla di sicuro...».

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Gaston Ramirez, 27 anni, salta Veloso nel derby di domenica GETTY

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