La Gazzetta dello Sport

Rea «LA PAURA IN PISTA? UNA SOLA: PERDERE»

MARITO, PADRE, IDOLO NAZIONALE: CHI È IL PILOTA KAWASAKI CHE HA CONQUISTAT­O GLI ULTIMI 4 TITOLI

- di MARIO SALVINI

Quattro anni fa, nel Mondiale Superbike, Jonathan Rea si è presentato per la prima volta in sella a una Kawasaki. Da allora si sono corse 103 gare, 56 le ha vinte lui. Roba che Lewis Hamilton e Marc Marquez sfumano a tiranni minori. Tutto facilissim­o, quindi. «Sembra. È soltanto che so portare la Kawasaki al limite».

Di Kawasaki ce ne sono due...

«Il pilota fa sempre la differenza, ma avere un team competente di cui hai piena fiducia è fondamenta­le. Io investo molto in me stesso, lavoro a contatto coi miei coach perché ho un’unica paura: perdere».

Più paura di perdere o di dare le cose per scontate?

«Più paura di perdere. Non do mai nulla per scontato. Vincere dà dipendenza. Conquistar­e titoli è bello, ma è solo la conseguenz­a. Essere in testa all’ultima curva è la più bella sensazione del mondo»

Da poco è uscito il suo libro: “Dream. Believe. Achieve”. Sogna, credici, ottieni...

«L’anno scorso la mia notorietà in Gran Bretagna è molto aumentata. Sono arrivato secondo allo sportivo dell’anno BBC, dietro a Mo Farah, davanti a Lewis Hamilton e Harry Kane. Sono stato invitato al compleanno della regina, sono diventato Ufficiale dell’Impero Britannico. Ho pensato: “Potrebbe essere il punto più alto della carriera, è ora di raccontarl­a”. Il titolo mi è venuto immediato:

“Dream, believe, achieve” è il mio mantra da anni. Le parole con cui sono cresciuto».

Racconta che a scuola è stato vittima di bullismo...

«Sì. Forse perché venivo dalla campagna, e quando sono andato alla secondaria non avevo amici. Sono sempre stato molto bravo a scuola. Ho avuto paura, a volte, ma niente di grave».

E poi ci sono gli inizi in moto…

«Ho cominciato prima dei tre anni… A gareggiare a sei. Mio padre, John, correva al TT (all’isola di Man ha vinto nel 1989,

n.d.r.). E mio nonno, John, con la nostra azienda di trasporto (Rea Distributi­on,

n.d.r.) era lo sponsor principale di Joey Dunlop...».

E lei ci ha mai pensato, al TT?

«No. Mi piace, lo trovo divertente, ammiro i piloti che lo fanno. Ma è un tipo di competizio­ne per la quale non ho un particolar­e interesse».

Nel libro c’è anche la morte…

«Racconto di Chris e Craig Jones (omonimi, non parenti,

ndr). Erano miei amici, sono morti in pista. Craig nel 2008 in Supersport: quando è caduto, io ero primo, lui terzo. La settimana precedente eravamo stati in campeggio a Misano. Quando succedono cose così non ci vuoi credere, vorresti dimenticar­e subito. Ma non puoi, perché poi, al funerale, capisci che quei ragazzi non sono solo piloti: sono figli, fratelli, nipoti».

Un pilota pensa “non succederà mai a me”?

«Sì, è così. Sai che c’è il pericolo, ma in gara non ci pensi. Magari capita al giovedì, quando cammini in pista e ti dici: “Forse quel muro è un po’ troppo vicino... Ma quando sali in moto finisce tutto, se no non potrei fare il mio lavoro. Certo, ora che ho famiglia è più difficile».

A proposito, tutto cominciò nel giorno della prima vittoria, nel 2009 a Misano.

«Io ero in Honda, Tatia (Tatiana è australian­a, ha 7 anni più di lui, n.d.r.) lavorava alla Kawasaki. Ci conoscevam­o già, eravamo amici. Prima della gara le ho chiesto se potevamo essere più che amici. Lei ha detto di sì. E io ho vinto. Adesso abbiamo due bimbi (Jake di 5 anni, Tyler di 3, n.d.r.) e da agosto ci siamo trasferiti dall’Isola di Man in Irlanda del Nord».

A Templepatr­ick. La Brexit potrebbe riportare la frontiera...

«Non ne so abbastanza da comprender­e tutti i veri significat­i di quella frontiera. Ricordo quando c’era un checkpoint armato. Spero che non lo rimettano. Sono cresciuto in campagna, dei disordini e delle bombe sentivo al telegiorna­le. Per me la religione erano le moto. Ci siamo tutti resi conto che nel mondo di religioni ce ne sono tante. Io, protestant­e, ho più amici cattolici che protestant­i».

Il Belfast Telegraph ha scritto che lei in Irlanda del Nord è come George Best.

«Lui è un’icona. Io sono fortunato perché in Irlanda il motociclis­mo è popolare, più che in Inghilterr­a. Lo sport unisce, e io sono fiero di mettere insieme tutti come la nazionale di rugby (a differenza del calcio è unica per tutta l’Irlanda, n.d.r.)».

Ha avuto un’offerta dalla MotoGP per il 2019?

«Sì. Ma resto qui perché era meglio quella dalla Kawasaki. La moto e il team non erano tra i più competitiv­i»

Resta per il record? Ora ha 4 titoli come Carl Fogarty.

«No, non per le statistich­e. Resto per me stesso».

Certo sarebbe bello vedere una sfida con Marc Marquez.

«Come posso sfidarlo se non ho... una moto incredibil­e? Lui è il migliore al mondo perché la MotoGP è il campionato top. I più bravi sono lì. Vorrei l’opportunit­à di misurarmi davvero con loro, ma non mi è arrivata».

«SONO NATIVO DELL’IRLANDA DEL NORD MA UNISCO TUTTI SENZA MURI»

JONATHAN REA 31 ANNI

 ??  ?? L’IDENTIKIT Jonathan Rea è nato a Ballymena (Irlanda del Nord) il 2 febbraio 1987. Ha esordito in Sbk nel GP Portogallo 2008 con la Honda. L’anno dopo ha vinto il primo GP a Misano. Vive a Templepatr­ick (GB)
L’IDENTIKIT Jonathan Rea è nato a Ballymena (Irlanda del Nord) il 2 febbraio 1987. Ha esordito in Sbk nel GP Portogallo 2008 con la Honda. L’anno dopo ha vinto il primo GP a Misano. Vive a Templepatr­ick (GB)
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 ??  ?? G 1 Con la moglie Tatiana mostra orgoglioso la medaglia di Ufficiale dell’Impero Britannico­G 2 Con il figlio minore, il piccolo Tyler, 3 anni. Ha anche un bambino più grande che ha 5 anni, Jake G 3 La «festa Irish» dopo avere conquistat­o Phillip Island nel 2017 GETTY
G 1 Con la moglie Tatiana mostra orgoglioso la medaglia di Ufficiale dell’Impero Britannico­G 2 Con il figlio minore, il piccolo Tyler, 3 anni. Ha anche un bambino più grande che ha 5 anni, Jake G 3 La «festa Irish» dopo avere conquistat­o Phillip Island nel 2017 GETTY
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