Cairo «Classifica corta Toro, ce la giochiamo»
De Biasi lancia i granata «Alla pari contro il Milan» ●Il tecnico: «La squadra ha bisogno di convincersi di essere forte Dentro la testa deve entrare questo sogno senza porsi alcun limite»
Come dimenticare quella notte: si era al vecchio Delle Alpi l’11 giugno 2006 quando un Torino costruito in estate in una quindicina di giorni riuscì a superare al supplementare 3-1 il Mantova. E via, da allora è iniziata tutta un’altra storia: nel primo anno di gestione Cairo quel Toro tornò subito in Serie A. Sulla panchina sedeva Gianni De Biasi, da quella notte entrato nel cuore della gente del Toro. «Ho un ricordo indelebile di quella serata, come se fosse ieri. Ricordo la felicità, il pianto di tifosi, dirigenti e calciatori: il presidente Cairo era irrefrenabile, a fine partita correva come un pazzo in mezzo al campo per la gioia, facemmo insieme un pezzo di corsa mano nella mano sotto la curva. È stata una delle emozioni più forti della mia carriera».
Dodici anni dopo il Toro festeggia il 112° compleanno al 6° posto in Serie A. È questa l’ora di dare la caccia all’Europa?
«Non ci giro intorno, perché il Toro è forte: questo è l’anno buono per tornare in Europa, premiando gli sforzi del presidente Cairo. L’obiettivo europeo nasce da lontano, costruito negli anni grazie a dei progressi incredibili in un percorso che io chiamerei di crescita stabile. Anno dopo anno, il Toro è sempre migliorato nonostante una concorrenza agguerrita. Oggi la squadra è competitiva, mi piace molto e le dico anche un’altra cosa…».
Cosa?
«Se togliamo la Juve, che fa corsa a sé, il Napoli e l’Inter, il Toro se la gioca alla pari con tutte le altre nonostante Milan, Roma e Lazio abbiano dei budget diversi. Il Toro è riuscito a ritagliarsi uno spazio bello e luminoso».
Il calendario da qui a fine anno mette in fila Milan, Juve, Sassuolo, Empoli e Lazio: che cosa potrà dire questo percorso?
«Sarà il periodo della verità: gli impegni sono importanti, ma non devono spaventare. Il Toro ha una buona solidità difensiva e un equilibrio di squadra raro. Ad esempio, il differenziale tra i gol fatti e subiti ci dicono lo stato di salute di una squadra: il Toro ha quasi gli stessi numeri di Milan e Lazio, con scarti ridotti. Significa che se la gioca alla pari».
Dove trova il punto di forza di questo Toro?
«È il collettivo fatto da ottimi giocatori. Sirigu è un portiere di esperienza internazionale, arrivato nell’età ideale. In difesa la gioventù di Izzo, lo strapotere fisico di Nkoulou e Djidji sono garanzie. E poi Ansaldi e De Silvestri, esterni che sanno fare tutto. Rincon e Meité danno qualità ed equilibri, senza dimenticare Baselli al quale manca solo il salto di personalità. Davanti c’è abbondanza: Belotti, Iago, Zaza, Berenguer... Il Toro è forte, rischio di ripetermi: può prendersi l’Europa».
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LA CRESCITA «Questo Toro nasce da lontano, lo sento anche un po’ mio: oggi se la gioca pure con club che hanno dei budget più alti»
C’è un aspetto da migliorare?
«Il Toro deve solo convincersi di essere una squadra di qualità, che può dire la sua contro chiunque. Deve autoconvincersi: dentro la testa deve entrare il sogno europeo, senza porsi dei limiti, senza mettere dei freni mentali che ti possano rallentare. La squadra si faccia aiutare anche dalla gente del Toro, sempre positiva e pronta a spingerti a dare il massimo».
La convince il tridente con Zaza?
«Da tempo dico che il Toro dovrebbe giocare con il trequartista e le due punte nel suo sistema organizzato. I tre possono attaccare la profondità come pochi, ma ci si aspettano più gol. Serve solo un po’ di tempo. La vocazione offensiva del Toro mi piace: bisogna insistere».
Chi l’ha sorpresa di più?
«Meité, non lo conoscevo. E poi Nkoulou mi piace da morire».
Vedere il Toro di oggi le lascia una sensazione particolare?
«Mi fa pensare che ai miei tempi eravamo tutti degli artigiani, mentre il Toro di oggi è ben organizzato, cammina con le proprie gambe da un decennio, con un presidente che è tra i migliori. Sì, il Toro attuale è un po’ anche figlio di quei nostri primi passi: io sono stato il primo allenatore di Cairo, ho provato ad aiutarlo, ho pagato anche sulla mia pelle la poca dimestichezza del “pres” nel calcio. È un uomo illuminato e ora ha capito come funziona questo mondo».
Mazzari, gli lascia un pensiero?
«Gli consiglio di stare più tranquillo e sereno possibile. Gli auguro di riprendersi presto al meglio e poi di vivere al 150% questo momento al Toro: gli resterà dentro per tutta la vita».
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