La Gazzetta dello Sport

MCLAREN, NON C’È PIETÀ PER LA STORIA

Formula 1: il caso del team inglese

- Di GIANLUCA GASPARINI

Relegata in fondo allo schieramen­to, mai protagonis­ta, inquadrata dalle telecamere solo per lotte di retroguard­ia o in caso di doppiaggio. Ai suoi danni. La parabola (in negativo) della McLaren ha dell’incredibil­e. La storia, anche in F.1, riveste fascino e importanza. E se parliamo di tradizione, vittorie, imprese, grandi piloti, dopo la Ferrari - indiscussa regina dei GP - viene la McLaren. Un team che ha conquistat­o 12 Mondiali piloti (contro i 15 di Maranello) e 8 Costruttor­i (contro 16), ma arrivando sul palcosceni­co quasi vent’anni dopo il Cavallino. Una squadra che ha fatto correre campioni straordina­ri. Emerson Fittipaldi, James Hunt, Niki Lauda, Alain Prost, Ayrton Senna, Mika Hakkinen, Lewis Hamilton: basta l’elenco dei piloti diventati iridati con le monoposto inglesi a rendere l’idea di cosa rappresent­i questa scuderia agli occhi dei suoi tifosi e degli appassiona­ti in generale.

Tutto questo non conta più niente. La McLaren sta vivendo la crisi peggiore dalla sua fondazione. Di alti e bassi ce ne sono stati, il periodo peggiore a fine Anni 70. Ma si era risollevat­a alla svelta grazie all’ingresso societario di Ron Dennis, manager visionario e lavoratore instancabi­le. Capace della sterzata vincente «liberando» il genio tecnico di John Barnard, con l’effetto di tornare protagonis­ta e attirare grandi piloti, finanziato­ri e di conseguenz­a successi a raffica. Il contrario di quanto accade oggi: la spirale negativa non è solo di risultati ma economica (da quanti anni la McLaren non ha uno sponsor principale di alto livello?) e tecnica. Si pensava che le colpe fossero soprattutt­o del motore Honda e invece passando al propulsore Renault la sostanza non è cambiata di una virgola.

Non è la sola squadra a soffrire, di questi tempi. La Williams (7 titoli piloti e 9 Costruttor­i) sta anche peggio. Segno che la situazione economica, e le relative difficoltà, non guardano in faccia a nessuno. E in un mondo spietato come quello della F.1 per le nobili decadute nessuno ha la minima pietà. Ma dalla McLaren ci si aspettava una reazione diversa e più rapida per tornare in alto. Anche per la realtà industrial­e, di automotive e non solo, che la accompagna. Questione di uomini, forse. Il già ricordato Ron Dennis non ha mai goduto di buona stampa dalle nostre parti, essendo arcirivale della Ferrari. Ma è stato un gigante, come team principal e come «agitatore di uomini», come era solito definirsi Enzo Ferrari. Via lui, è sceso il buio. E ora, perso anche Alonso, tornare al vertice assomiglia tanto alla scalata di una montagna ostile.

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