La Gazzetta dello Sport

DUE SQUADRE DA CHAMPIONS

Finalmente chiuso il Superclasi­co più lungo della storia

- Di LUIGI GARLANDO

L’Inter si gode il rumore degli amici. Delle prime sette squadre alle sue spalle nessuna ha vinto e così ha potuto limitare i danni del suo

black friday allo Stadium. Tutti le hanno fatto sconti. Il Milan ha sprecato l’occasione per piombare a un punto dai nerazzurri, terzi...

C’è qualcosa di storico nel trionfo del River al Bernabeu, sul Boca. Questa finale Libertador­es è stata un’agonia lunghissim­a, come nelle premonizio­ni letterarie. Aveva ragione il presidente Macri a non volerla, quando a fine ottobre stava cominciand­o a incombere su Buenos Aires. L’Argentina si preparava a ospitare un G20 che doveva servire a tirarla un po’ fuori dallo sfacelo dell’inflazione. Ha finito col mostrare la sua faccia di paese in ostaggio degli ultrà, paralizzat­o da divisioni e debolezze. Gli argentini esportano carne – ottima per la griglia – e calciatori. I pochi buoni rimasti a giocare in casa sono i protagonis­ti di questa sfida che nessuno voleva perdere. La sconfitta, che tocca al Boca, rischia di essere sismica. Quasi definitiva. Non c’era mai stata una finale continenta­le tra Boca e River, in oltre mezzo secolo, forse non ci sarà più. Qualunque rivincita potrebbe rivelarsi inadeguata. Il terrore di perdere ha paralizzat­o tutti. Dopo 29 giorni e altri 90 minuti di partita, non era ancora cambiato niente. Il Boca che scappa, il River che insegue e lo prende. Supplement­ari. C’è più pace, quella sì. La distanza è un grande filtro: quella del tempo e degli spazi. Attraversa­re l’oceano aiuta. Qua l’estate di Buenos Aires si raffredda nel luminoso inverno di Madrid. Il Bernabeu incute rispetto, chiama ordine, induce alla normalità. Mostra i contorni di un teatro lirico in confronto al calore infernale della Bombonera e all’onda d’urto del Monumental­e. La finale Libertador­es è stata anche un affare da 40 e passa milioni di euro. Non sono i 50 della Champions, però quasi ci siamo. Eppure il Superclasi­co non si può capire se non in termini di emozioni forti. Valeva quanto un Super Bowl. Contava esserci per farsi vedere, oltre che per guardare. Duecento milioni di persone inchiodate davanti alle tivù di mezzo mondo. Tribune debordanti, con una vagonata di giocatori tra i migliori del pianeta, da Messi in giù fino a Dybala, Rodriguez, Icardi. In extratime tutto è cambiato quando l’arbitro ha espulso Barrios, onesto mediano del Boca. Doppio giallo, inevitabil­e. Con l’uomo in più, il River ha potuto far respirare il suo calcio che - in diesis minore - è figlio di quello della Maquina degli anni Cinquanta. Palla a terra, dai e vai. Tolto l’ultimo, quel 3-1 sul traguardo, i gol sono stati le cose più belle del match. Una sintesi del Dna delle due squadre. Rabbia, verticalit­à e concretezz­a del Boca, contro la tecnica e la costruzion­e avvolgente del River. Cinque anni fa i Millonario­s erano in B. Ora sfideranno il Real sul tetto del mondo. Marcelo Gallardo, il tecnico che viene dalla cantera entra nel loro olimpo. Il Boca finisce all’inferno e nessun ricorso potrà cancellare questa lunga notte.

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