DUE SQUADRE DA CHAMPIONS
Finalmente chiuso il Superclasico più lungo della storia
L’Inter si gode il rumore degli amici. Delle prime sette squadre alle sue spalle nessuna ha vinto e così ha potuto limitare i danni del suo
black friday allo Stadium. Tutti le hanno fatto sconti. Il Milan ha sprecato l’occasione per piombare a un punto dai nerazzurri, terzi...
C’è qualcosa di storico nel trionfo del River al Bernabeu, sul Boca. Questa finale Libertadores è stata un’agonia lunghissima, come nelle premonizioni letterarie. Aveva ragione il presidente Macri a non volerla, quando a fine ottobre stava cominciando a incombere su Buenos Aires. L’Argentina si preparava a ospitare un G20 che doveva servire a tirarla un po’ fuori dallo sfacelo dell’inflazione. Ha finito col mostrare la sua faccia di paese in ostaggio degli ultrà, paralizzato da divisioni e debolezze. Gli argentini esportano carne – ottima per la griglia – e calciatori. I pochi buoni rimasti a giocare in casa sono i protagonisti di questa sfida che nessuno voleva perdere. La sconfitta, che tocca al Boca, rischia di essere sismica. Quasi definitiva. Non c’era mai stata una finale continentale tra Boca e River, in oltre mezzo secolo, forse non ci sarà più. Qualunque rivincita potrebbe rivelarsi inadeguata. Il terrore di perdere ha paralizzato tutti. Dopo 29 giorni e altri 90 minuti di partita, non era ancora cambiato niente. Il Boca che scappa, il River che insegue e lo prende. Supplementari. C’è più pace, quella sì. La distanza è un grande filtro: quella del tempo e degli spazi. Attraversare l’oceano aiuta. Qua l’estate di Buenos Aires si raffredda nel luminoso inverno di Madrid. Il Bernabeu incute rispetto, chiama ordine, induce alla normalità. Mostra i contorni di un teatro lirico in confronto al calore infernale della Bombonera e all’onda d’urto del Monumentale. La finale Libertadores è stata anche un affare da 40 e passa milioni di euro. Non sono i 50 della Champions, però quasi ci siamo. Eppure il Superclasico non si può capire se non in termini di emozioni forti. Valeva quanto un Super Bowl. Contava esserci per farsi vedere, oltre che per guardare. Duecento milioni di persone inchiodate davanti alle tivù di mezzo mondo. Tribune debordanti, con una vagonata di giocatori tra i migliori del pianeta, da Messi in giù fino a Dybala, Rodriguez, Icardi. In extratime tutto è cambiato quando l’arbitro ha espulso Barrios, onesto mediano del Boca. Doppio giallo, inevitabile. Con l’uomo in più, il River ha potuto far respirare il suo calcio che - in diesis minore - è figlio di quello della Maquina degli anni Cinquanta. Palla a terra, dai e vai. Tolto l’ultimo, quel 3-1 sul traguardo, i gol sono stati le cose più belle del match. Una sintesi del Dna delle due squadre. Rabbia, verticalità e concretezza del Boca, contro la tecnica e la costruzione avvolgente del River. Cinque anni fa i Millonarios erano in B. Ora sfideranno il Real sul tetto del mondo. Marcelo Gallardo, il tecnico che viene dalla cantera entra nel loro olimpo. Il Boca finisce all’inferno e nessun ricorso potrà cancellare questa lunga notte.