Al video i migliori però il sistema si è inceppato Presto modifiche
●Interpretazione del protocollo Var da semplificare Rizzoli ha proposto correttivi all’Ifab. Fermato Di Bello
Non è un paradosso, ma ha il sapore della beffa, che in un giorno in cui le critiche piovono come grandine, arrivi un’altra certificazione di qualità per gli ufficiali di gara italiani: l’arbitro Rocchi, il Var Irrati, gli assistenti Di Liberatore e Tonolini dirigeranno stasera la semifinale del Mondiale per club tra Al Ain e River Plate. Segno che, nonostante i pochi alti e i molti bassi di questa stagione, i nostri arbitri continuano ad essere tra i più richiesti all’estero, indifferentemente che si tratti di farli scendere in campo o sedere nella var room. Sono i migliori? Probabile, ed è comprensibile che questa affermazione di superiorità oggi strida con il livello delle prestazioni offerte in campionato.
IL SISTEMA E deve suonare addirittura incredibile che l’Italia sia assurta a punto di riferimento proprio per l’applicazione della Var, ciò che mettiamo più in croce. È soprattutto al modello italiano che si è ispirata la Fifa per preparare il primo Mondiale con la video assistenza, ed è allo stesso modello che sta guardando Roberto Rosetti per far sbarcare la tecnologia in Champions League. E del resto, ormai da un anno, Coverciano è stato scelto dalla Fifa come il primo centro permanente per la formazione e l’allenamento degli arbitri sulla Var. Vengono da tutto il mondo per esercitarsi al simulatore installato nella struttura federale. Non è l’unico in Italia. A Sportilia, storica sede dei raduni arbitrali, ce ne sono due. E sono utilizzati di frequente. Dall’inizio del campionato, i nostri ufficiali di gara hanno già partecipato ad un raduno dedicato alla Var e da gennaio ad aprile ne hanno in programma altri tre. Per ottenere dall’Ifab il patentino da Var, un arbitro deve sostenere quattro simulazioni off line e «giocare» dieci partite on line, cinque in campo e altrettante al monitor. In Italia, sono più di quaranta i fischietti brevettati: i 21 della Can A e circa l’85% dei 27 della Can B. Sono il frutto della politica scelta dal designatore Nicola Rizzoli: formare già dalla serie cadetta ufficiali di gara che mostrino la stessa disinvoltura in campo e nella var room. L’esperimento è apprezzabile per il coraggio, anche se il percorso di crescita comporta qualche caduta: l’arbitro di B o neopromosso in
A che fa il Var di un collega di peso, magari un internazionale, ha sempre la personalità per correggerlo? È l’interrogativo che ci si è posti dopo che Fabbri non ha suggerito a Rocchi di rivedere il giudizio sul contatto tra D’Ambrosio e Zaniolo in Roma-Inter, e dopo che domenica Chiffi non ha invitato Di Bello a rivedere la spinta di Florenzi su Pandev in Roma-Genoa.
I CORRETTIVI Per quella scelta, Fabbri, nel frattempo diventato pure lui internazionale, è fermo da due settimane. Per quest’ultima, è probabile che a entrambi venga dato un turno di riposo. Anche se Rizzoli ritiene Di Bello molto più responsabile di Chiffi. Doveva ritenere «decisiva» la spinta del romanista e assegnare il rigore al Genoa. Averla vista e valutata «ininfluente», ha tagliato fuori l’intervento di Chiffi. Possibile? Il famigerato protocollo non prevede che il Var stia lì proprio a correggere gli «errori chiari ed evidenti» del collega? Già, ma la dicitura è così vaga che successivamente dall’Ifab sono giunte indicazioni – informali – per una distinzione tra errori di un tipo e dell’altro. Si scopre, dunque, che per i «contatti bassi» si tende a chiamare in causa più frequentemente il Var perché il replay può aiutare a dirimere la controversia; viceversa per i «contatti alti», come la spinta di Matuidi su Belotti, si privilegia la valutazione del campo perché l’immagine al rallentatore tende a far apparire ogni contatto un rigore. Mentre i tocchi con mani e braccia vanno rivisti tutti. Diciamolo onestamente: suona troppo cervellotico. Comprensibile solo agli addetti ai lavori. Rizzoli e i suoi colleghi ne sono consapevoli, motivo per cui hanno lavorato a delle proposte di modifica del protocollo già al vaglio dell’Ifab. Primo intervento da apporre, declinare l’intervento della Var per ogni tipologia di errore: un mani non visto, un fuorigioco, un contatto basso, un contatto aereo. Così, almeno, in ogni caso sarà scritto nero su bianco come gli arbitri devono comportarsi. Oggi, il «non detto» del protocollo sta generando troppi equivoci.
LO SCENARIO Più di quaranta gli arbitri italiani già brevettati al Var. Tre raduni in vista
In futuro una classificazione più precisa degli episodi da video assistenza