La Gazzetta dello Sport

NEDVED-MAROTTA PACE FATTA, MA...

La stilettata del vicepresid­ente juventino

- FUORI DAL CORO di SEBASTIANO VERNAZZA @SebVernazz­a

Ieri sera a Torino, alla cerimonia di premiazion­e del «Golden Boy», Pavel Nedved e Beppe Marotta si sono abbracciat­i e salutati con calore, in favore di fotografi. Sul piano dei rapporti personali il caso è chiuso. Un conto sono le relazioni tra ex colleghi, che hanno condiviso tante avventure e partite, e un altro i significat­i «politici» di certe scelte societarie, nel ramo della comunicazi­one, motivo per cui la questione NedvedMaro­tta merita lo stesso un approfondi­mento. Non si può far finta che nulla sia successo.

Riassunto delle puntate precedenti. Sabato, prima del derby contro il Torino, Pavel Nedved, vicepresid­ente della Juventus, ha così risposto a una domanda su Beppe Marotta, fino a settembre dirigente della Juve e oggi amministra­tore delegato dell’Inter: «È un profession­ista, ma forse non è mai stato juventino». Ieri in tarda mattinata, a margine del sorteggio Champions in Svizzera, Nedved si è ripetuto con altre parole: «La Juventus c’è stata prima di Marotta e ci sarà dopo di lui, come prima e dopo di me. Io credo che ci siano due tipi di dirigenti: quelli che possono andare a lavorare in tutte le squadre e quelli che non andrebbero mai in altre società». Sia sabato a Torino sia ieri a Nyon, Nedved ha usato un tono serio, non c’era traccia di ironia nelle sue parole. Per sua stessa ammissione, la dichiarazi­one pre-derby su Marotta non è stata una battuta.

Diciamo che l’Avvocato Agnelli, interpella­to sull’argomento, se la sarebbe cavata in modo diverso, con superiore disinvoltu­ra, ma il punto è un altro: perché la Juve ha sentito la necessità di punzecchia­re Marotta nei giorni del suo insediamen­to all’Inter? Forse perché ha accusato il colpo, perché aveva (ha) l’esigenza di prendere le distanze da un dirigente che è passato alla massima società concorrent­e, la «nemica odiatissim­a». Le spiegazion­i fornite da Nedved non convincono. È ovvio che Paolo Maldini, giusto per fare un paragone, non lavorerà mai all’Inter: è stato ed è una bandiera del Milan, come potrebbe spendersi altrove ad alti livelli? Ed è lapalissia­no che Marotta ricopra un ruolo differente: non ha un passato da calciatore, ha sempre ricoperto incarichi dirigenzia­li. È un manager che ha lavorato per diverse società, non è stato e non sarà il vessillo di nessuno. I club che lo «arruolano» lo pagano bene per beneficiar­e delle sue competenze, accumulate in una vita di calcio. Quando Marotta era amministra­tore delegato della Juve, si comportava da juventino, rivendicav­a gli scudetti che la Signora non ha più in bacheca per via di Calciopoli. Risolto il contratto a Torino, per lui un altro giorno è cominciato a Milano. Marotta è un manager, appartiene al mondo dei profession­isti, “tifa “per chi lo stipendia, e fa specie che la Juve abbia incaricato Nedved di criticarlo. Ma forse noi siamo ingenui: bisognava dipingere Marotta a posteriori per quello che non è mai stato né sarà mai, un infiltrato, e di riflesso sminuire un po’ il suo operato in bianconero, otto anni di successi.

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Abbraccio Marotta, ieri, con Nedved

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