Motori, marcia e pure lo Zoncolan Sesso debole a chi?
● La Lombardi in F.1, la 50 km, il Giro da dure. E la Vonn vorrebbe sfidare gli uomini in discesa
Il dilemma è vecchio come il mondo: nello sport, arriverà il momento in cui le donne eguaglieranno le prestazioni degli uomini? Prima dei Giochi di Barcellona ‘92, la rivista Nature si avventurò in una profezia: all’Olimpiade del 2156 ci sarebbe stato il sorpasso nei 100 metri piani.
DONNE E MOTORI In attesa che i posteri verifichino di persona la bontà della previsione, è opportuno allargare il discorso non limitandosi all’aspetto solo prestazionale: oggi non c’è sport, anche estremo, che le donne non pratichino con successo (pensiamo all’Iron Man del triathlon, per esempio) e dunque sono altri i limiti da valutare, come l’approccio a discipline di classica impronta maschile oppure la disputa di gare femminili in contesti tecnici fin qui considerati fuori dalla loro portata. Nel primo caso, viene subito alla mente l’impresa di Lella Lombardi, piccola ma tostissima al volante, tanto da meritarsi una chiamata in Formula 1. Nel Gran Premio di Barcellona del 1975, alla guida di una March, arriva sesta in una gara sospesa prima della metà dopo infiniti problemi e ottiene mezzo punto: rimane l’unica donna ad aver conquistato punti nel Mondiale. Le fanno compagnia, in specialità diverse, Danica Patrick, sola vincitrice femminile di una gara Indycar, Jutta Kleinschmidt (Dakar 2001) e Michèle Mouton (4 vittorie nel Mondiale rally). Nelle moto, sono fresche le gesta della spagnola Ana Carrasco, campionessa mondiale Supersport, ma prima di lei si erano illustrate tra le altre Beryl Swain, la prima donna in una gara mondiale, nel 1962, addirittura nel terribile Tourist Trophy, classe 50, o ancora Gina Boivard, l’unica ad aver corso nella classe regina, allora (era il 1982) la 500, per finire con la giapponese Igata, settima in 125 a Brno nel 1995, il miglior piazzamento femminile di sempre.
I MOSTRI La Saslong, affrontata oggi per la prima volta, sposta in là il confine del possibile, facendo sicuramente felice Lindsay Vonn, seppur assente: proprio lei, un paio d’anni fa, chiese alla Federazione internazionale di poter gareggiare in una discesa maschile. Negli sport invernali le donne hanno già ottenuto il via libera nel bob e nel salto, mentre nell’atletica è dell’anno scorso l’introduzione nel programma dei Mondiali della 50 km di marcia dopo una dura battaglia, anche legale, per la parità. Oggi, del resto, nessuno si sognerebbe di mettere in discussione la maratona femminile, ma nel 1967, quindi non nella preistoria, a Kathy Switzer venne proibito di prendere il via a quella di Boston e l’introduzione all’Olimpiade è datata appena 1984. Il progresso tecnico e fisiologico consente ormai alle donne di affrontare fatiche un tempo non troppo lontano decisamente impensabili: al Giro d’Italia in rosa di quest’anno ha debuttato lo Zoncolan dal versante più duro (quello di Ovaro) e l’olandese Annemiek Van Vleuten, già regina del primo Izoard nel 2017, lo ha domato in 48’08”, appena otto minuti in più di Froome al Giro maschile. Alla faccia del sesso debole.