La Gazzetta dello Sport

Beretta: «Creiamo nuovi Cutrone e Donnarumma»

●Il responsabi­le del settore giovanile: «La qualità del vivaio è medioalta, l’obiettivo è dare almeno un giocatore l’anno alla prima squadra»

- Marco Pasotto INVIATO A MILANELLO (VARESE)

Parrebbe l’incastro perfetto: un ex allenatore da sempre molto coinvolto e attento nel lavoro coi giovani, che diventa il responsabi­le del vivaio di un club. Che per andare a lavorare in quel club torna nella città in cui è nato. E che del club in questione è sempre stato tifoso. Ora, per rendere quell’incastro davvero perfetto, a Mario Beretta non resta che dare vita agli obiettivi: proseguire la tradizione che vede il Milan capofila nella creazione di talenti in casa propria. Dal vivaio alla prima squadra: il percorso virtuoso perfetto per qualsiasi club in termini gestionali ed economici. Beretta, dopo oltre trent’anni sulle panchine di quasi venti squadre, è tornato all’antico amore: le giovanili. Prima a Cagliari e ora al Milan dove, tu guarda la buona sorte, adesso c’è una proprietà che fa della linea verde la pietra miliare del progetto di rinascita. Scaroni e Gazidis l’hanno spiegato bene: l’Academy è un punto di riferiment­o e un valore aggiunto.

Beretta, lei è al timone da luglio: un primo bilancio?

«Sono moderatame­nte soddisfatt­o. In pochi mesi è difficile dare un’impronta vera, ma sono felice che la mia visione corrispond­a a quella della proprietà. Una bella condivisio­ne, anche perché io ho iniziato ad allenare con bambini e ragazzini. Sono contento perché, in generale, è stata intrapresa la strada che voglio».

Ce la racconti.

«Il focus è prima di tutto l’individuo, perché è il singolo che poi arriva al traguardo. Occorre lavorare sulla qualità individual­e dei giocatori, tecnica e tattica, sulla mentalità da Milan, il rispetto per il club, gli aspetti educativi. I ragazzi devono avere un’educazione e imparare sacrificio e senso di appartenen­za. Senza l’aspetto educativo un giocatore non si può dire formato. Queste sono le linee guida generali, con una regola di campo importante: non sono i giocatori che devono adattarsi al sistema di gioco, nemmeno a quello usato in prima squadra. Ma il contrario».

E nello specifico del progetto sportivo?

«Dare almeno un giocatore ogni anno alla prima squadra. Stiamo lavorando per creare altri Cutrone e Donnarumma».

Come procede? C’è qualche nome caldo all’orizzonte?

«I nomi non ve li farò mai (ride, ndr), ma posso dirvi che per il prossimo anno ci potrebbero essere buone notizie per duetre elementi della Primavera (i nomi proviamo a farli noi: Torrasi, Sala e Brescianin­i, ndr). In generale, ritengo la qualità del nostro vivaio medio-alta, anche se poi l’aspetto caratteria­le ed educativo gioca un ruolo altrettant­o importante».

Com’è il rapporto con Leonardo e Maldini?

«E’ un dialogo molto costruttiv­o, li sento vicini. E poi c’è Gattuso, che è particolar­mente dentro la vita del settore giovanile ed è il nostro valore aggiunto perché incarna il senso di appartenen­za rossonero. Ha voluto incontrare tutti i tecnici, con cui ha fatto aggiorname­nti, dando consigli preziosi. Una vicinanza concreta, posso assicurare che non lo fanno tutti. Io e lui ci confrontia­mo un paio di volte a settimana, magari sul campo: l’ufficio dopo un po’ mi fa venire l’orticaria...».

Come mai la Primavera è così malmessa?

«E’ un gruppo giovane, dovevamo anche fare la seconda squadra ma il passaggio di proprietà ha creato delle difficoltà proprio all’inizio della stagione. Ma siamo convinti di salvarci».

La lista dei talenti creati in casa è lunghissim­a: quanto è pesante l’eredità di Filippo Galli?

«Ognuno ha la propria interpreta­zione del ruolo. Nel Milan il “materiale umano” è sempre stato fra i migliori. Comunque per me non è un peso sapere di dover “produrre” altri giocatori. E’ la mia missione, la pressione non la sento».

Ci sono innovazion­i particolar­i?

«Ci sono cose in cui crediamo molto. Per esempio dagli U14 agli U17 in ogni allenament­o togliamo i ragazzi mezzora agli allenatori per farli lavorare col resto dello staff per reparti, e singolarme­nte. Anche come tecnica individual­e. Poi stiamo implementa­ndo i supporti video, che spediamo ai ragazzi. In pratica sono lezioni personaliz­zate a casa. Ma ho anche un’altra idea che mi alletta».

Ci dica.

«Negli anni mi piacerebbe anche riuscire a formare in casa degli allenatori».

Domenica intanto a San Siro arriva il Cagliari.

«Un’avventura durata tre anni, molto bella, stavo benissimo e con Giulini il rapporto era ottimo. Ci sentiamo ancora. E’ lì che ho iniziato a fare questo mestiere, e ora in panchina non tornerei più».

FELICE CHE LA MIA VISIONE SUI GIOVANI CORRISPOND­A

MARIO BERETTA SULLA PROPRIETÀ

CI È MOLTO VICINO, È IL NOSTRO VALORE AGGIUNTO

MARIO BERETTA SU GATTUSO

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LAPRESSE Mario Beretta, 59 anni, lavora al Milan dallo scorso luglio
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