La Gazzetta dello Sport

ALBERTINI: «TRA I NERAZZURRI LA PRESUNZION­E OSTACOLA IL GIOCO»

Il neo responsabi­le del settore tecnico federale: «Un orgoglio tornare a lavorare per il calcio italiano»

- ELEFANTE, GARLANDO

Albertini, che presidente sarà alla guida del Settore tecnico federale? «Disponibil­e, non a disposizio­ne. Rispettoso della collegiali­tà del Consiglio direttivo che sarà eletto al prossimo Consiglio federale. La mia attività di imprendito­re resta importante, al Settore tecnico posso dedicare un tempo preciso, nel quale vorrei fare qualcosa di concreto. Un orgoglio tornare a lavorare per il calcio. Un ruolo politico non mi interessav­a».

Primi passi?

«Conoscere ciò che è stato fatto nei quattro anni in cui non sono stato in Federazion­e. Concepisco il Settore tecnico come luogo di discussion­e, di formazione e aggiorname­nto. Gravina mi ha dato anche l’input per far comunicare meglio tra loro Settore giovanile scolastico, Club Italia e Settore tecnico».

Ricorda un’iniziativa di Gianni Rivera, suo predecesso­re?

«Me la farò raccontare da lui».

Non teme che le abbiano assegnato un ruolo troppo laterale?

«Non sempre fare o non fare dipende dal ruolo, a volte dalle persone. Otto anni di esperienza in Federcalci­o mi hanno insegnato che spesso si inizia con buoni propositi, poi si gioca in difesa. Questo è il momento di attaccare. Se capirò di non poterlo fare, toglierò il disturbo».

Gravina va di fretta.

«Quando devo fare una riunione nella mia società, chiedo: qual è il motivo? Quando finisce la riunione? Andiamo dritti al tema, non sprechiamo tempo. E a fine riunione: quanto tempo ci diamo per raggiunger­e lo scopo? Gravina mi sembra che abbia quest’urgenza del tempo. Siamo in sintonia».

Mancini punta alla doppietta: Europeo e Mondiale.

«Fa bene a non porsi limiti. Non è vero che mancano i talenti. Non sono messi nelle condizioni per crescere. Ci sono ragazzi che hanno più presenze in Nazionale che nelle Coppe europee. Io da ragazzo giocavo in Coppa Campioni. Mancini ha fatto bene a chiamare Zaniolo».

Milan-Lazio, semifinale di Coppa Italia. Roba sua.

«La Lazio mi ha consentito di vincere l’unica coppa che mi mancava: la Coppa Italia. Con il Milan persi due finali, una contro la Lazio. Gattuso è molto più equilibrat­o da allenatore, la squadra lo segue: bravo».

Maldini è tornato. Lei non era riuscito a portarlo in Nazionale.

«Paolo è ancora in fase di apprendime­nto, credo. Parla poco, può sembrare una forza, ma siamo nell’era della comunicazi­one. Due o tre volte siamo stati vicini a un accordo per la Federazion­e. Non capivo se preferisse un incarico sportivo, politico o managerial­e. L’importane è che Paolo sia rientrato nel calcio. Ha la competizio­ne dentro. Si sta preparando per un futuro importante».

La sua Atalanta 2004-05 non era così bella.

«Squadra giovane, appena salita dalla B. Trovammo delle difficoltà. Ma era bello sentire il sentimento di appartenen­za che ti trasmettev­ano i tifosi».

L’Inter del suo amico Sala?

«Il sindaco e lo chef Oldani sono i miei bersagli interisti preferiti... Però l’Inter è terza: non mi sembra questo disastro... Poi è vero che ha più individual­ità che gioco, perché la presunzion­e, che viene confusa con la personalit­à, ostacola il gioco. Chi si sente bravo fa ciò che crede e non ciò che deve».

Juve-Atletico Madrid, sua ex?

«L’Atletico è la peggior squadra che potesse trovare, nel momento peggiore: la Juve non è mai stata così piena di dubbi. Incontra una squadra organizzat­issima in difesa che sa palleggiar­e come tutte le spagnole. Quando sbatti contro un muro o vai sotto, se hai troppi dubbi, fatichi a reagire e molli. Ma la Juve è forte, le auguro di arrivare a Madrid con Chiellini e Bonucci e meno dubbi».

Com’è nato imprendito­re?

«Uscito dalla Figc, ho svolto una serie di incarichi istituzion­ali, ma sentivo il bisogno di strutturar­mi. Così, in società con Manuela Ronchi, che aveva già esperienza in materia, è nata la Deme4 che si occupa di formazione, team-building, organizzaz­ione di eventi. Con noi lavorano 32 ragazzi».

Progetti?

«Una bella cosa per Milano, la mia citta: una settimana dedicata al calcio, a fine settembre. Il sindaco Sala, con cui ho lavorato per l’Expo, ci ha coinvolti direttamen­te».

Si è dedicato anche ai poveri.

«Ho trascorso una giornata all’Opera San Francesco. In genere chi fa beneficenz­a lì, serve in mensa, dove vengono a mangiare persone che comunque hanno una casa: 2.500 pasti al giorno. Io ho aiutato nelle docce, passavo sapone e asciugaman­i a poveri che magari avevano dormito in strada. Mi sono avvicinato alla loro intimità, tanti mi hanno riconosciu­to, abbiamo parlato di calcio. Una giornata ben spesa».

Dopo il fallimento del Mondiale brasiliano, nel 2014, il Cammino di Santiago in bici.

«Era un momento delicato della mia vita. Il Cammino mi ha permesso di staccare completame­nte, solo davanti a me stesso. La mattina era fatta di sorrisi, il pomeriggio di silenzi e di fatica. Ero con un amico. Il primo giorno pedalammo per 11 ore. In media 110-120 km al giorno. Abbiamo visitato cattedrali bellissime e ascoltato i vespri in latino. Ogni volta che ricordo, mi emoziono ancora».

L’estate scorsa il dolore della scomparsa di papà Cesare.

«Abbiamo saputo della malattia di papà il 22 giugno e il 13 luglio morì. Io e i miei due fratelli abbiamo vissuto quel mese stretti a papà e mamma che ha avuto un ictus 30 anni fa ed è rimasta paralizzat­a alla parte sinistra del corpo. Mio padre, per lei, non era solo legame sentimenta­le, era un sostegno fisico. La gente si meraviglia­va di come tre maschi riuscisser­o ad essere così presenti e organizzat­i. Ricambiava­mo l’affetto e i valori che ci aveva trasmesso nostro padre. In quei giorni gli chiesi: “Papà, scusa, ma tutte le mie maglie che ti ho dato, dove sono finite?” Ora ricoprono una parete del mio ufficio. È la parete di papà. Avevo un’altra curiosità. Quando giocavo male da piccolo, papà mi fischiava. Quel fischio mi innervosiv­a... Mercoledì notte ero sdraiato nel suo letto e lo tenevo per mano. Sarebbe morto il venerdì. Gli chiesi: “Papà, ma quando giocavo male nel Milan, mi fischiavi anche a San Siro?” “Certo – rispose –. Se giocavi male, fischiavo”. È stata l’ultima cosa che mi ha detto. La notte prima del funerale la passammo tutti insieme in casa. Mettemmo a letto mamma, poi io e i miei fratelli scrivemmo fino alle due di notte, seduti vicino a papà. Mio fratello prete, don Alessio, la predica per la messa funebre; io un pensiero che avrei letto sull’altare. Mio fratello Gabriele disse: “Io non ce la faccio a leggere in chiesa. Scrivo e la leggo qui”. Finì per primo il don: “Ve lo leggo?” Risposi: “No, voglio piangere solo domani”. Ci venne da ridere e scherzare... Avevamo una serenità assoluta. Anche quella era una lezione di papà. Il suo ultimo regalo. Papà era una forza e mi manca tanto. Domani (oggi,

ndr) è il suo compleanno».

Lei fischia i suoi figli?

«Ho dato il talento a Costanza e la grinta a Federico. Lei ha fatto sci, pattinaggi­o, nuoto, ippica, padel... Le riesce tutto con grande facilità, ma per divertirsi. Lui fa scherma con il coltello tra i denti. È bravo. Mi dice sempre: “Non stare qui vicino che mi metti pressione”. Mi allontano in tribuna. Appena finisce l’assalto però, si toglie la maschera e mi cerca... Gli dico sempre: “Poteva andar meglio”. Mio padre fischiava, io dico: “Poteva andar meglio”».

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GRAVINA SENTE L’URGENZA DEL TEMPO. CONCRETO SIAMO IN SINTONIASU GABRIELE GRAVINA PRESIDENTE DELLA FIGC
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LA BICI, I SILENZI, I VESPRI IN LATINO PER STACCARE E RITROVARMI­SUL CAMMINO DI SANTIAGO FATTO NEL 2014
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● 1 Demetrio lo chiama «Il muro di papà»: le maglie vestite in carriera che aveva regalato a suo padre. Ora sono appese nel suo ufficio, alla Dema4● 2 Un giovanissi­mo Albertini con papà Cesare, scomparso a luglio, mamma Giuseppina e il fratello Gabriele. Manca don Alessio, fratello prete

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