La Gazzetta dello Sport

Svindal, addio d’argento: «Lascio senza rimpianti»

●Il 36enne norvegese chiude la carriera con la nona medaglia iridata: «Tutto ha il suo tempo, era il momento di uscire»

- INVIATO A ARE (SVEZIA) si.ba.

Ha aperto le braccia e ha alzato lo sguardo al cielo. Poi si è goduto l’applauso della tribuna: raramente ne aveva vista una così piena di bandiere norvegesi. Infine Aksel Lund Svindal ha raggiunto Kjetil Jansrud nel leader corner. Ancora insieme su un podio. Nessun gesto di stizza o di delusione: se c’era qualcuno che avrebbe potuto strappargl­i l’oro, e per due soli centesimi, quello era il compagno di squadra.

NUMERI E RISPETTO E così un altro gigante ha salutato lo sci. Svindal lascia a 36 anni, dopo aver disputato 389 gare di Coppa, 29 ai Mondiali, dopo aver vinto nove medaglie iridate — cinque ori, due argenti, due bronzi — quattro olimpiche — oro in discesa a PyeongChan­g e in superG a Vancouver: è il solo a vantare la doppietta nelle specialità veloci —, due Coppe del Mondo generali, nove di specialità, dopo aver colleziona­to 36 vittorie nel circuito e un totale di 80 podi. Più dei numeri, però, rimangono i ricordi. Per tutti Svindal è stato un maestro, un collega pronto ad aiutare, un signore in tutte le situazioni, un uomo capace di dare il giusto peso alle cose.

RADICI E INFORTUNI Sarà perché nella vita ha dovuto capire ben presto quali sono le tragedie vere. Orfano di madre, mancata mettendo al mondo un fratellino che non avrebbe vissuto più di un anno, Aksel ne consacrò il ricordo aggiungend­o al cognome del padre quello di parte materna, Lund. Da adolescent­e si appassionò allo sci tra le colline attorno a Oslo e Geilo. «All’epoca Aamodt e Kjus combatteva­no contro la grande Austria — avrebbe raccontato —. Erano l’orgoglio del paese, anche se lo sci di fondo rimaneva lo sport più popolare in Norvegia». Riuscì ad allenarsi con loro per due stagioni, carpendone i segreti e infine percorrend­o la loro strada, partita con le discipline tecniche e sfociata nella velocità. Con le vittorie sarebbero arrivati anche gli infortuni: su tutti, quello terribile del 2007 a Beaver Creek, durante la prova di discesa, quando la lamina di uno sci lo ferì in profondità a un gluteo, lambendo l’arteria femorale. Nella discesa di Kitzbuehel del 2016 — quella vinta da Fill — si ruppe il crociato del ginocchio destro. La stessa Streif, quest’anno, gli ha suggerito che era il momento di smettere, dopo che per i dolori seguiti alle gare di Bormio aveva capito di non poter sciare «nemmeno con papà». «Il ginocchio sta bene, per ciò che dovrò fare nel resto della vita va benissimo» raccontava ieri Svindal. «Lascio senza rimpianti. Tutto ha il suo tempo, ora è il momento di uscire e di mettersi dalla parte degli spettatori». Buon riposo, guerriero.

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Aksel Lund Svindal, 3° della storia dopo Aamodt e Girardelli a medaglia in sei Mondiali AP

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