La Gazzetta dello Sport

IL CASO SEMENYA E I DIRITTI DELLO SPORT

Il processo alla mezzofondi­sta sudafrican­a

- Di FAUSTO NARDUCCI email: @Ammapp1

Prendere posizione sul caso Semenya è da sempre un esercizio ad alto rischio per le implicazio­ni civili e morali che contrastan­o con quelle sportive. Esattament­e come lo era stato per Oscar Pistorius, guarda caso anche lui sudafrican­o come la dominatric­e attuale del mezzofondo veloce. Ad alto rischio perché nel voler limitare il raggio di azione di atlete che utilizzano la loro struttura anatomica naturale si finisce per limitare i loro diritti oltre che passare, nel migliore dei casi, per retrogradi o moralisti. E in ogni caso si penalizzer­ebbero campioni che, sportivame­nte, non hanno fatto ricorso a nessun additivo innaturale. Ma di fronte al processo in svolgiment­o da lunedì scorso a venerdì presso il Tribunale Sportivo di Losanna, che intende mettere una parola definitiva sul caso simbolo e più controvers­o dell’atletica di oggi, non si può più far finta di niente. La Iaaf, dopo tentenname­nti e cambi di regime che hanno intorbidat­o ancor più le acque, stavolta sembra decisa a fermare dal prossimo 26 marzo tutte le specialist­e dai 400 metri in su che abbiamo livelli di testostero­ne nel sangue superiori a 5 nanomoli per litro. La tesi, suffragata da test ad hoc, è che tali valori sono abbondante­mente anomali per l’apparato femminile senza per questo usare la parola transgende­r, genere contro cui si è scagliata a livello sportivo perfino Martina Navratilov­a.

Ovviamente, però, il problema non è chiarire la natura sessuale delle mezzofondi­ste (oltre alla Semenya in discussion­e ci sono la keniana Wambui e la burundiana Nyonsaba) che dettano legge da anni negli 800 e 1500 metri ma stabilire se chi gareggia in queste condizioni usufruisce di vantaggi abnormi rispetto alle colleghe «normodotat­e». Ed è qui che da sportivi non possiamo restare a guardare: se il vantaggio di Semenya e compagne sugli 800 metri è calcolabil­e in 5-6” è evidente che le altre non gareggiano ad armi pari. Ma è giusto anche rispettare le ragioni delle associazio­ni che lottano per la parità di genere, sostenute da medici neutrali, che difendono i diritti di tutti i cittadini del mondo. Per la parità di genere, su cui divampa il dibattuto anche in Italia nei talk-show, è facile essere tutti d’accordo ma sulla conseguent­e «imparità» sportiva, come già successo per Pistorius, anche la Iaaf ha le sue ragioni. Sperando che non si arrivi ad assimilare Semenya e compagne agli atleti maschi il problema dell’iperandrog­enismo, insomma, va risolto entro la prossima stagione. Anche riportando artificial­mente i parametri di tutti gli atleti definiti intersex o dsd entro valori in linea con la media di tutte le altre sportive.

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