YES WE KEAN!
La baby Italia c’è A segno Barella e lo juventino
Mancini parte bene a Udine. Moise supera Rivera tra i giovani bomber in azzurro: «Imparo tanto da CR7»
Quando Moise Kean è volato verso il gol azzurro più giovane di sempre (dopo quello di Bruno Nicolè) è sembrato che la difesa della Finlandia si spalancasse come il Mar Rosso davanti a quel Mosè leggermente più famoso. Un segno divino anche questo o, più prosaicamente, il segno che Mancini ha vinto la scommessa: quella dei ragazzini subito in Nazionale perché sono da Nazionale e niente storie. D’altra parte la sfida era cominciata con il gran gol di un altro U21 che ha una fretta del diavolo, Nicolò Barella, tiro deviato ma rete tutta sua. E che rete. La Finlandia andava messa sotto, così pretende la Storia e così è stato: 2-0. Il bello è che è stata l’Italia 2000 a farlo. Sarebbe stato ancora più bello completare il delizioso quadretto con Quagliarella che, dentro nel finale, s’è procurato paratissima e palo come il più assatanato dei minorenni: la rete azzurra più vecchia, ieri 36 anni e 51 giorni, arriverà a Parma contro il Liechtenstein e sarà da Matusalemme, per restare in tema biblico. Non si poteva chiedere di più a una serata che è stata globalmente positiva, dall’atteggiamento alla mentalità, dalla filosofia alla visione, e non ci ha risvegliato dal sogno. L’Italia c’è, l’Italia è tornata, combinazione di entusiasmo, gioco, palleggio, velocità ed esperienza. In giro per l’Europa, escluse forse Francia, Belgio e Inghilterra, oggi se la gioca con tutte.
VERTICALI E VELOCI E poi non è che sta diventando: questa è già l’Italia dei Kean, dei Barella, dei Bernardeschi, e per evitare equivoci Mancini ha messo anche Spinazzola e Zaniolo che dal gruppo non usciranno più. Ci sono stati momenti spettacolari perché la testa è sempre alla porta e nessuno gioca di spalle. Palleggi, tagli, verticalizzazioni improvvise e veloci, nessuno lasciato solo a subire il pressing. Kean non è Balotelli, è meno potente ma più agile e, tatticamente, più maturo: s’adatta alla fascia come fosse nato tornante, difende il pallone come un centravanti, fa quasi sempre scelta e movimento giusti. Barella ha dentro lo spirito di Tardelli e il suo gol, a proposito di segni, è l’ultimo di uno del Cagliari: il precedente apparteneva ad Astori, in Confederations 2013, diventato simbolo del nostro calcio proprio in una tragica mattina di Udine. Sempre quello, però, il rischio: eccedere con l’euforia. E allora meglio dirlo subito: rispetto alla ultime quattro partite che hanno invertito la tendenza depressiva, dall’Ucraina agli
Usa, si potrebbe paradossalmente individuare qualche passo indietro. Da un possesso sotto il 60% a qualche rischio in contropiede, soprattutto a inizio ripresa, quando la Finlandia s’è resa conto del calo di tensione e ha messo a nudo un limite sul quale Mancini dovrà lavorare: la sofferenza sul pressing altissimo per un’Italia fisicamente non mostruosa. Ma è il prezzo da pagare all’età e alla propensione offensiva. In cambio, azioni palla al piede, cercando sempre la soluzione migliore. Studiate, mai improvvisate. ANCHE IMMOBILE Com’era prevedibile, non c’è più l’effetto sorpresa. Quest’inverno anche gli altri hanno preparato contromosse. Compreso il bravo Kanerva, per esempio, sebbene il deficit tecnico fosse incolmabile. Intanto più linee, l’unico modo per ostacolare la rete di passaggi, e infatti lo schieramento era un 3-42-1 che si compattava nella difesa a 5. Seconda cosa, rubando quasi l’intuizione manciniana, un quadrilatero di mediani per andare in superiorità sul nostro centrocampo che resta la chiave di volta. Verratti e Barella sono stati impressionanti, il primo regista moderno su ritmi altissimi. Un po’ meno convincente Jorginho che, come i primi tempi, ha perso un paio di palloni ma è sempre stato utile nel giropalla. Il peggiore sarebbe stato Immobile che fatica a dialogare con gli altri: ma l’assist a Kean ha fatto dimenticare gli errori. Quarta di fila senza subire gol e adesso il Liechtenstein. Quello è il momento della goleada. Non chiediamo troppo.