La Gazzetta dello Sport

«Sul Poggio le gambe mi facevano male Ma ero qui per questo»

●●razie ai compagni: mi erano tutti accanto. Sì, la pressione c’era ma io sono rimasto calmo. Gli errori del passato mi sono serviti»

- Ciro Scognamigl­io INVIATO A SANREMO twitter@cirogazzet­ta

Lo guardi camminare mettendo i piedi per terra come i comuni mortali, ma deve essere una impression­e sbagliata. Sono giorni, questi, in cui Julian Alaphilipp­e sta calpestand­o le nuvole. Vola. Funziona così quando sei al settimo cielo, sospeso tra «l’immenso orgoglio per aver vinto un Monumento come la Sanremo» e il fuoco dell’ambizione che brucia dentro: «Non ho ancora capito quali siano i miei limiti. E ho tantissimi obiettivi da realizzare». Forse aveva ragione chi sul web si era lanciato in una battuta notevole, sui tre favoriti per la Milano-Sanremo numero 110: «Sono Julian, Ala(n) e Philippe». Ora «Lou-Lou» tornerà ad aprile, tra Itzulia (ex Giro dei Paesi Baschi) e le classiche delle Ardenne, ma adesso è il momento di parlare della Classiciss­ima. Di un’impresa. Di una giornata memorabile.

Alaphilipp­e, ha realizzato quello che ha fatto?

«È una gioia grandissim­a, ma credo di non averlo ancora capito. Ero venuto per questo, e c’erano le condizioni giuste perché accadesse. Sono fiero del successo almeno quanto del lavoro svolto dai compagni. Quando mi sono mosso sul Poggio, le gambe mi facevano male. Ma ho pensato a quello che avevano fatto per me e ho tenuto duro».

Sul Poggio è accaduto quello che si aspettava?

Cresciuto a Montlucon (Fra), la città di Roger Walkowiak (vincitore Tour 1956), risiede ad Andorra. Ha la passione per la batteria (il papà è stato un direttore d’orchestra) e da adolescent­e ha lavorato come meccanico in un negozio di bici. Ha cominciato con il cross e da junior è stato argento iridato nel 2010. È passato pro’ nel 2014 con il gruppo Quick Step e conta 25 successi, gli ultimi 4 in Italia. Tra le sue vittorie: Giro di California 2016, una tappa alla Vuelta 2017, Freccia Vallone 2018, 2 tappe al Tour 2018 (più maglia a pois), Classica di San Sebastian 2018, Strade Bianche 2019 e due tappe alla Tirreno-Adriatico 2019 prima della Sanremo.

Ha sentito la pressione di essere il grande favorito?

«Sì, se ne era cominciato a parlare già negli ultimi giorni di Tirreno-Adriatico. Però sono riuscito a rimanere calmo e concentrat­o».

Che cosa significa questo successo? Ci racconta lo sprint decisivo?

«Un finale pazzesco, è successo tutto molto in fretta. Quando si è mosso Trentin, per un attimo ho temuto che non si riuscisse a chiudere ma poi ho valutato che la cosa potesse rigirarsi a mio favore, perché Matteo era uno di quelli che temevo di più in volata. Credo fossimo tutti al limite, e quando ho visto Mohoric muoversi non potevo permetterm­i che prendesse vantaggio. E l’ho seguito. Mi sono voltato a destra e a sinistra, ho visto che non c’era nessuno ed è stato incredibil­e».

In passato aveva perso delle gare per suoi errori, l’esperienza le è servita?

«Certamente. Ho imparato molto. È sempre stato un mio obbiettivo migliorare, nelle gare e nella vita. A febbraio, dopo il Giro di Colombia, sono rimasto a pedalare in altura. Avevo voglia di tornare a casa, ma sapevo che mi sarebbe stato utile».

Il gruppo della Quick Step è il più vincente al mondo. Quali sono le cose che vi differenzi­a dalle altre squadre?

«Una è la mentalità: Vogliamo vincere ogni corsa alla quale ci presentiam­o. Un’altra è la grande qualità degli atleti, basti vedere chi ha lavorato per me nel finale, gente del calibro di Stybar e Gilbert. E poi ognuno è contento di mettersi a disposizio­ne perché sa che prima o poi arriverà il suo turno».

La Francia gode di una generazion­e di ciclisti molto forti: lei, Pinot, Bardet, Demare… c’è un motivo particolar­e?

«Siamo molto diversi, non so se sia facile trovare un filo conduttore tra tutti. Però è bellissimo essere in loro compagnia».

Se dovesse scegliere tra un Mondiale e un Tour de France?

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