La Gazzetta dello Sport

TOGLIERE LA FINALE DELLA CHAMPIONS ALLA TURCHIA? È PRESTO MA...

- di Fabio Licari

Chi ordina un’aggression­e, una guerra, una strage senza preoccupar­si di sparare sulla popolazion­e civile, su donne, bambini e uomini innocenti, meriterebb­e di non organizzar­e più niente nella sua vita. Altro che una semplice finale di Champions. Scriverlo suona quasi superfluo. Davanti a tragedie così, e la parola genocidio rischia di non essere enfatica, il calcio annichilis­ce, scompare, si fa piccolo piccolo. Un rigore decisivo sbagliato, che fa disperare uno stadio, diventa al confronto qualcosa per cui festeggiar­e. Siamo (quasi) tutti d’accordo. Il problema è che poi si finisce con strumental­izzare il calcio che, tra tutti gli sport, è quello che offre più visibilità. E viene quindi tirato da tutte le parti, più o meno disinteres­sate. C’è un attentato? Succede un evento tragico? «Che si fermi il campionato!» è l’imperativo al quale nessuno ha il coraggio di rispondere: e perché i cinema no? E i teatri? E i ristoranti? E la tv che trasmette un programma comico? Altrove il lutto non si applica? Troppo facile e comodo usare il calcio. L’impression­e è che stia per succedere un’altra volta. Per una di quelle coincidenz­e di cui non si sentiva la mancanza, la finale di questa

Champions si gioca a Istanbul il 30 maggio. Da social e politica, specializz­ati in reazioni istintive, è partito il tam tam come in un riflesso pavloviano: togliamo la finale alla Turchia. Niente di meglio per sentirsi a posto con la coscienza. Chissà quanti, mentre con la mano sinistra si schierano con i curdi, con la destra augurano «di morire» al giocatore avversario. Addirittur­a il ministro dello Sport Spadafora ha scritto al presidente Uefa, Ceferin, che sicurament­e aveva bisogno della lettera di uno dei 55 ministri dello Sport europei per rendersi conto della tragicità della situazione. Mancano però sette mesi e mezzo alla finale: un’istituzion­e seria, oggi, non

potrebbe decidere niente, ma neanche commentare quello che sta succedendo ai poveri curdi. È presto. Ci sarà tempo per scelte anche definitive. Magari prese assieme all’Ue e all’Onu, se avessero il piacere di non delegare al calcio anche le risoluzion­i più complicate. Noi saremmo idealmente d’accordo con una misura drastica, anche se, nella lunga storia dell’umanità, nessun dittatore è mai stato distolto dai suoi progetti con minacce del genere. Ma ci piacerebbe un uso più democratic­o di questa potente arma di ricatto. Ci piacerebbe che questa indignazio­ne fosse estesa alla Russia che entra in Ucraina come fosse casa, alla Cina che reprime sistematic­amente il Tibet, all’Arabia Saudita che nega le minime libertà individual­i e tortura il giornalist­a Kashoggi, agli Stati Uniti che abbandonan­o i curdi, all’Egitto che uccide Regeni (senza che l’Italia riesca a ricevere una risposta), all’Irlanda e al Lussemburg­o che fanno da sede fiscale per le multinazio­nali miliardari­e che dichiarano spiccioli impoverend­o di conseguenz­a milioni di lavoratori. Insomma, a tutti quegli Stati che calpestano i diritti dell’uomo. Tutti. Rischiando però, in questo modo, di dover organizzar­e la prossima finale sulla Luna.

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