L’UOMO DEI MATCH CHE SEMBRANO FILM «DENTRO UN CARCERE, NELLA GIUNGLA DI ALI E QUEL K.O. A 2 LADRI»
Tre volte campione italiano, un fratello ex portiere dell’Atalanta: 40 anni fa sfidò il detenuto Scott
S«Sono passati 40 anni, ma ricordo tutto: io che entro nel penitenziario di massima sicurezza, il rumore dei cancelli, le sbarre che si aprono, le mie impronte digitali messe su un foglio, le foto di profilo... Poi le guardie americane col fucile mi scortarono fino al ring, tirato su in mezzo al campo sportivo. Gli altri detenuti urlavano. Tutto stranissimo: James Scott, il mio avversario, era accusato di omicidio. Ma ne valeva la pena e non solo per la borsa da 10 mila dollari. E parliamo del 1979...».
La rapina sventata
Enio Cometti, come accade a molti pugili, ha una storia da raccontare con centinaia di retroscena da far impallidire uno sceneggiatore premio Oscar. Enio («Mio padre disse il nome all’impiegato dell’anagrafe: lui ascoltò, poi lo scrisse con una sola “enne”. È rimasto così nei documenti») è anche l’unico italiano ad aver combattuto un match tra professionisti all’interno di un carcere. Sfidò Scott, a sua volta caso eccezionale: la federazione gli permise di continuare la carriera anche dopo l’arresto. Non solo, gli organizzò diversi incontri: Scott li vinse uno dopo l’altro e diventò sfidante ufficiale al titolo dei mediomassimi. Solo allora la Wbo fece marcia indietro, temendo di dover consegnare la corona a un re dietro le sbarre. In breve tempo la favola si sgretolò e la condanna in via definitiva per omicidio mise la parola fine. Scott è morto l’anno scorso. Quello con l’italiano fu un match bello tosto. Cometti se lo ricorda bene. È in ottima forma, coi muscoli ancora scolpiti: per informazioni basta chiedere a una banda di rapinatori, tre anni fa voleva rapinare il negozio di articoli sportivi che Enio ha aperto nella sua Romano di Lombardia. «Pensavano di avere a che fare con un vecchietto, si sentivano forti anche perché erano in cinque. Ne ho stesi 2, compreso il capo che era bello grosso. Gli altri sono scappati. Meglio così, a me non piace fare a botte. La boxe la insegno ai ragazzi e agli adulti del paese. E insegno soprattutto a schivare i colpi. Anche se 40 anni fa in carcere non evitai la testata di Scott: eravamo al quinto round, io avanti ai punti. Mi aprì la fronte, sangue dappertutto. L’arbitro fermò l’incontro. “Bene, ho vinto per squalifica”, pensai. E invece alzò il braccio di Scott. Protestare in quell’atmosfera era inutile. I giorni seguenti andai a New York, feci i guanti con Antuofermo e girai per la città: gli emigranti mi fermavano “good Cometti, good”. L’incontro era andato in diretta tv, anche con telecronaca italiana a cura di Rino Tommasi. Insomma, ero famoso...».
Fratello calciatore
Ma la storia di Cometti non è solo quell’incontro. E’ molto di più, a partire da un fratello portiere in A. «Certo, Zaccaria. Il maggiore dei Cometti. Ha disputato più di 170 gare con l’Atalanta e poi è rimasto da allenatore dei portieri. Quando ero piccolo spingeva perché lo seguissi. A me, però, il calcio non piaceva. C’era invece una palestra a poche metri da casa: mi fermavo a guardare i pugili. Ecco, quello sì che mi attirava. Un giorno il maestro disse:
“Prova”. Non glielo feci ripetere. Con le mani ci sapevo fare. “Fai male col sinistro”, dicevano. Sono stato tre volte campione italiano, non avevo paura di nulla. Ho combattuto in posti assurdi, nel 1978 pure a Kinshasa, in mezzo alla giungla come Ali, di fronte a 50 mila tifosi scatenati. Gli unici bianchi eravamo io e Umberto Branchini, mio manager... Sul ring stavo come a casa: più erano grossi e più li colpivo al corpo. La categoria perfetta sarebbe stata i Supermedi, ma l’hanno istituita dopo il mio ritiro nel 1981. Rimpianti? Non aver partecipato all’Olimpiade del 1968 perché la federazione decise che non eravamo abbastanza forti e lasciò a casa i mediomassimi. E invece avrei vinto una medaglia. E poi il titolo europeo perso ai punti dopo 15 riprese contro l’olandese Koopmans: se l’avessi incontrato in Italia... Tutti bei ricordi. Ho ripreso da pochi anni a frequentare le palestre. Prima facevo l’allenatore di pallavolo, mia figlia è stata una discreta giocatrice. Eh già, i Cometti con le mani ci sanno fare...».
L’incontro dietro le sbarre negli Usa è stato incredibile: persi per una testata, inutile protestare Nel 2016 una banda entrò nel mio negozio per una rapina: ne ho stesi un paio, gli altri in fuga Enio Cometti 68 anni