La Gazzetta dello Sport

«MILAN, È GIUSTO TORNARE A PUNTARE SU TALENTI GIOVANI»

«Se non hai Pelè, inutile pensare al top player. Linea verde ok anche in Nazionale San Siro non è solo memoria: deve vivere»

- di Valerio Piccioni

Per un calciatore che ha giocato 658 volte con la maglia del Milan, non deve essere un gran momento. Gianni Rivera, fresco di diploma come tecnico profession­ista di prima categoria, e che in rossonero ha vinto praticamen­te tutto, lo ammette senza drammatizz­are.

Perché il Milan fa sempre così fatica a tornare al massimo livello?

«Bisogna capire come si è organizzat­a la società e quali sono gli obiettivi. Maldini e Boban capiscono di calcio, il resto delle persone non le conosco. È chiaro che la situazione generale influisce su tutto, la tecnica in campo risente dell’organizzaz­ione societaria fuori».

Puntare sui giovani o costruire intorno a un top player una crescita?

«Se hai Pelè potresti scegliere la seconda strada, ma Pelè non ce l’hai. Per questo il ritorno al vivaio, dopo che per anni ci si era dimenticat­i del settore giovanile, è un fatto positivo. Ci sono dei buoni giocatori, bisogna farli lavorare bene».

Nello stato d’animo del tifoso, e in generale del milanista, c’è la variabile San Siro. Con l’ipotesi che lo stadio sia buttato giù per cedere il testimone al nuovo, avvenirist­ico impianto. Che effetto le fa dover fare i conti con questa possibilit­à?

«Un brutto effetto. La mia idea è: se non ci sono altri problemi di cui non sono a conoscenza,

San Siro deve rimanere in piedi. E continuare a essere un palcosceni­co del calcio. Questo è il mio pensiero, direi da innamorato».

Che consiglio darebbe al sindaco Sala?

«San Siro rappresent­a un valore, un grande valore. Forse questo non lo ricordiamo mai abbastanza. San Siro è uno stadio grande, enorme, dove però la partita si vede bene praticamen­te dappertutt­o. E ve lo dice uno che l’ha verificato dalla tribuna, ma anche dalla curva».

Quando ci entrò la prima volta?

«Con l’Alessandri­a, da ospite, ma per metà ero già del Milan».

Abbiamo parlato dello spettatore, le sensazioni da giocatore?

«Il sentirsi proprio a casa, la vicinanza con il pubblico nonostante l’enormità».

E se proprio si dovesse costruire un altro stadio?

«Non può essere buttato giù. Farlo rimanere come monumento? Come seconda ipotesi, ma San Siro è un valore perché ci si gioca dentro. Ed è anche memoria, e non è vero che la gente non ha memoria. A parte quelli che abitano nella zona, che sono contrari, credo che la maggior parte della gente voglia che lo stadio non sia cancellato».

Che momento è per il calcio italiano?

«Da quant’è che non vinciamo la Champions? C’è poco da fare, prima i migliori giocatori del mondo venivano da noi, ora vanno altrove. Tant’è che quando è arrivato Ronaldo, ci siamo stupiti tutti».

La Nazionale di Mancini ci fa sperare.

«Sta facendo un ottimo lavoro ed è giusto puntare sui giovani, forse potevamo pure arrivarci prima».

Lei faceva parte della prima e dell’ultima Italia campione d’Europa, nel 1968. Possiamo finalmente ripeterci nel 2020?

«Prima di giocare, bisogna sempre pensare a vincere. Veniamo da stagioni difficili per la Nazionale, con Mancini stiamo riprendend­o la corsa».

Lei ha studiato calcio tagliando l’ennesimo traguardo della sua storia: è diventato allenatore. Quanto è stata dura?

«No, dura no. Chi ha giocato ad alto livello è sempre avvantaggi­ato. Poi ci sono stati degli argomenti - medicina, psicologia - per me meno semplici. Certo sarei potuto arrivare prima a questo traguardo».

Possiamo conoscere l’idea di calcio del Rivera allenatore?

«Un calcio dove la tecnica venga prima di tutto e aiuti a migliorare la parte atletica. Ricordo le partitelle che ci faceva fare Liedholm a un tocco...».

Ora immaginiam­o che il Milan le chieda di diventare allenatore.

«Se me lo chiedono, se ne può parlare. Ma ora l’allenatore il Milan ce l’ha».

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