Ulivieri: «Panchina d’oro a Mihajlovic? Bella idea»
In questo Paese votato per piaggeria alle arrampicate sui carri, lasciatemi “commemorare” Marco Giampaolo, sedotto e abbandonato dal Milan all’alba dei sogni. Il rapporto fra società e allenatori ricorda l’uso che Enrico Mattei, fondatore dell’Eni, faceva dei partiti: «Salgo, pago la corsa, scendo». Quattro sconfitte in sette giornate, e tanti saluti alla filosofia dell’estetica, al tempo galantuomo (non sempre, evidentemente), a quella scintilla di gioco che si ritenne scarsa in Rino Gattuso e, viceversa, esuberante nel “prestazionista” che, alla Sampdoria, aveva condotto il trentaseienne Fabio Quagliarella al titolo di capocannoniere proprio nell’anno dello sbarco di Cristiano Ronaldo.
Quando si pensa che il tecnico possa molto, se non quasi tutto, o addirittura tutto, e comunque sempre più di coloro che vanno in campo, magari qualcuno, tra i mister, finisce per crederci e s’illumina d’incenso. È stato il caso di Giampaolo? Probabile che abbia cercato di condizionare le caratteristiche dei singoli allo spartito; possibile che abbia peccato di egoismo tattico. Resta il fatto che al suo Milan - e, per la proprietà transitiva, al Milan di Ivan Gazidis, Zvonimir Boban e Paolo Maldini - sono mancati i soldi del primo Silvio Berlusconi, più che le picconate e i “cessi” dell’attuale.
Per la cronaca, e per la storia, l’ultimo scudetto risale al 2011. Cito, come testimoni, Zlatan Ibrahimovic e Pato, Thiago Silva e Alessandro Nesta. Li pilotava Massimiliano Allegri, che resistette fino al gennaio 2014. Dopodiché: Mauro Tassotti, Clarence Seedorf, Filippo Inzaghi, Sinisa Mihajlovic, Cristian Brocchi, Vincenzo Montella (che firmò l’unico trofeo “post”, la
Supercoppa di Doha), il Gattuso di cui sopra, Giampaolo e, dal 9 ottobre, Stefano Pioli. Spero di aver reso l’idea.
A proposito di Allegri. Il popolo del web e il sinedrio dei saggi hanno celebrato, con ricchezza di turiboli e musiche sacre, i 24 tocchi che, la sera di InterJuventus, portarono alla rete decisiva di Gonzalo Higuain. Presero la mano di Maurizio Sarri e la innalzarono a monumento, movimento, cambiamento. Ora, non più tardi della stagione scorsa, la Juventus di Allegri aveva liberato al gol Emre Can dopo 28 passaggi (ma c’è chi sospetta 29).
Per carità: si giocava allo Stadium e il Chievo non è l’Inter. Lungi dal sottoscritto, dunque, pontificare che un simile confronto avvicina il gestore al creatore, il custode dell’italianismo speculativo al Cartesio del Triangoloergo-sum. Ma insomma.