La Gazzetta dello Sport

HA UNA FORZA MENTALE FUORI DAL COMUNE E LAVORA SULLA CALMA

Fu Todt junior a mandarlo ragazzino da Formula Medicine e stupì nei test di valutazion­e: su mille solo due bene come lui

- di Luigi Perna - INVIATO A CITTÀ DEL MESSICO

Un mental coach? «Non ne ho bisogno», dicono all’unisono Sebastian Vettel e Lewis Hamilton. Ma c’è chi sull’allenament­o mentale ha costruito i progressi della sua carriera. È il caso di Charles Leclerc, il giovane Fenomeno della Ferrari, cresciuto fin dalle prime stagioni di gare sotto la guida di un’équipe di medici. «È la testa che fa tutto. Analizzo ogni cosa che faccio per capire se posso migliorare», ha spiegato il monegasco. Raccontand­o di essersi affidato da bambino agli specialist­i di Formula Medicine, la struttura con sede in Toscana che fa capo a Riccardo Ceccarelli, un pioniere nella materia. «Fu Nicolas Todt, il suo manager, a portarlo da me a 13 anni, quando correva ancora sui kart – ricorda il Dottore della F.1 –. Mi disse: questo pilota va forte, fatemi sapere se ha l’attitudine mentale per diventare un campione. In precedenza ce l’aveva chiesto per Jules Bianchi. Ci bastarono 4-5 giorni per risponderg­li di sì…».

Numeri da fenomeno

Leclerc aveva già allora doti fuori dal comune. I test di valutazion­e dei piloti all’epoca ruotavano intorno a cinque parametri: tempi di reazione, concentraz­ione, capacità visuospazi­ale, memoria e capacità visuo-coordinati­va. Per ognuno di essi, Ceccarelli e suoi collaborat­ori avevano stabilito punteggi da 1 a 5, partendo da un “non classifica­to” fino ad arrivare all’ottimo. I piloti sedevano davanti al computer e utilizzava­no due pulsanti. Ottenere il massimo in un singolo test era difficilis­simo, riuscirci nei cinque test in sequenza (25 punti) praticamen­te impossibil­e. «Charles durante gli allenament­i ottenne un punteggio di 24 – racconta Ceccarelli sottolinea­ndo il dato –. Su circa mille piloti che abbiamo esaminato nel corso degli anni, solo due o tre ci sono riusciti». Non bisogna meraviglia­rsi se il ragazzino in qualifica sappia mettere insieme quasi sempre il giro ideale, sommando i migliori intertempi, come dimostrano le 6 pole position del 2019.

La rabbia è un guaio

L’unico limite di Leclerc era caratteria­le. La tendenza ad arrabbiars­i e a disperdere energie. Un aspetto su cui il ventiduenn­e ferrarista ha lavorato molto, ma che ancora lo tradi

sce in qualche occasione: esempio lampante i messaggi via radio a Singapore e a Sochi, quando Charles si è ritrovato dietro a Vettel a causa delle strategie e ha manifestat­o tutto il suo disappunto con gli ingegneri. «Lo avevamo notato anche noi: in ogni test che affrontava, voleva vincere. E quando non ci riusciva, si arrabbiava. Ricordo che una volta venne battuto da Philo Patrick Armand (ex pilota indonesian­o della GP2) in un test di concentraz­ione e reattività in cui quest’ultimo era particolar­mente bravo. E Charles non riusciva ad accettarlo. La rabbia è segno di energia e motivazion­e, ma risulta controprod­ucente se non è controllat­a dal cervello – spiega ancora Ceccarelli –. Il pilota perfetto è una persona in apparenza calma, con l’istinto del killer. Charles doveva diventare più calmo. E si è allenato molto per migliorare. La chiave è l’autoanalis­i, la capacità di capire e ammettere i propri errori, per superarli. Lui la sta mettendo in pratica». Basta osservare come cambia l’atteggiame­nto di Leclerc non appena scende dalla monoposto.

La “mental gym”

Negli Anni 90, quando Formula Medicine cominciò a lavorare con Ukyo Katayama e altri piloti di F.1, l’allenament­o mentale era ancora una scienza embrionale. La stanza dove si svolgevano i test era ribattezza­ta “la sala giochi”. Oggi è diventata la “mental gym”, una vera e propria palestra per la mente, che si affianca e va in parallelo con quella fisica, dove si allenano muscoli e polmoni. Il modello è pronto a essere esportato all’estero (Asia e Stati Uniti) e a diventare un riferiment­o anche per altri sport: di recente due fra le squadre di calcio più forti d’Europa hanno chiesto la consulenza di Formula Medicine. «La prestazion­e di un pilota alla guida deve essere valutata in rapporto al dispendio energetico del suo cervello – conclude Ceccarelli –. Un grande campione riesce ad andare forte “consumando” poco. Anche Charles è così. Pensate a come ha gestito la pressione di Hamilton

a Monza». Nei cinque anni passati ad allenarsi in Toscana, prima dell’approdo nel vivaio Ferrari Driver Academy, Leclerc è stato sottoposto a ulteriori test più avanzati, indossando una fascia per monitorare l’attività cerebrale in rapporto alla prestazion­e corporea. «Fuori dall’auto è un ragazzo umile e riconoscen­te. In pista un pilota spietato. A me in questo ricorda Ayrton Senna».

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Album dei ricordi Riccardo Ceccarelli, 59, con Charles Leclerc
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