Chi ha davvero bisogno di Ibrahimovic
di Alessandro de Calò
Nel maggio di tre anni fa, Zlatan Ibrahimovic aveva spedito in orbita, nel cielo di Parigi, un tweet favoloso. Poche parole, una decina, che dicevano tutto. Non ci parlavano dell’universo mondo, naturalmente, ma di lui inteso come fuoriclasse del pallone allergico ai tramonti. «Sono arrivato da re e me ne vado come una leggenda», cinguettava Ibra nei giorni dell’addio al Paris Saint-Germain, ostentando una imperiale megalomania. Doveva ancora compiere i 35 anni, non si sapeva dove sarebbe andato a giocare, parecchi club sembravano disposti a offrirgli una maglia, tra le varie destinazioni c’era anche una suggestione che lo riportava in Italia. Niente, da Parigi era finito a Manchester, col suo mentore José Mourinho; e dopo un grave infortunio aveva attraversato l’oceano, per scoprire l’America. Ma neanche il riflesso del sole sul Pacifico gli ha cambiato lo sguardo. L’altra notte, quando il messicano Carlos Vela l’ha oscurato, facendo fuori i Galaxy dalla corsa al titolo, Ibrahimovic è rimasto fedele alla linea del suo stile abrasivo. E pur senza sciogliere il nodo sul che fare – rimanere negli Usa o tornare in Europa – Ibra ha emesso un verdetto tombale: «Se vado via, nessuno ricorderà cosa sia la Major League». Questa sentenza californiana fa rima con quelle parole – re e leggenda – cinguettate nel maggio parigino del 2016. Anche adesso che Zlatan ha tagliato il traguardo dei 38 anni c’è qualche club pronto a offrirgli una maglia e la suggestione lo spinge di nuovo verso l’Italia. È stato lo stesso Ibra, nell’intervista di qualche giorno fa alla “Gazzetta”, ad aprire questa porta parlando di Napoli, di Antonio Conte, del Milan e di Paolo Maldini, del Bologna di Sinisa Mihajlovic. Ma ha senso ipotizzare un ritorno? Lo svedese può ancora essere un protagonista importante nel nostro calcio? Credo che si possa fare un ragionamento anche al netto dalle dichiarazioni di De Laurentiis e della partita a scacchi che
sta giocando il procuratore di Ibra, Mino Raiola. Si parte da una certezza: la rabbia di Zlatan, riassunta nel dopodi-me-il-diluvio proclamato agli americani. La voglia di rivincita è sempre stata il suo motore. Chi si prende Ibra deve metterlo al centro del palcoscenico. Non credo che per l’Inter abbia molto senso questa ipotesi. A Napoli, invece, Ibra scatenerebbe una tempesta emotiva: sono convinto che Ancelotti la saprebbe trasformare in vento a favore anche se lo vedo refrattario all’operazione.
Ma tutto sommato, oggi la dimensione giusta per Ibrahimovic potrebbe essere quella di Firenze o meglio Bologna. Dipende. Anche un certo Cruijff era tornato dal cimitero degli elefanti Usa per dimostrare con Ajax e Feyenoord di non essere finito. Certo, Zlatan non è Johan: ma siccome pensa di essere un dio a qualcuno dovrà pure ispirarsi.